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10-13-6 un terno preoccupante

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“Conterò poco, è vero”. diceva l’Uno ar Zero, “ma tu che vali? Gnente, proprio gnente. Sia ne l’azzione come ner pensiero rimani un caso voto e inconcrudente. Io invece, se me metto a capofila de cinque...

redazionecittaceleste

“Conterò poco, è vero”. diceva l’Uno ar Zero, “ma tu che vali? Gnente, proprio gnente. Sia ne l’azzione come ner pensiero rimani un caso voto e inconcrudente. Io invece, se me metto a capofila de cinque zeri tale e quale a te, lo sai quanto divento? Centomila”.

Chiedo aiuto a Trilussa per giustificarmi – soprattutto con i non pochi nemici della matematica – se oggi apro questa rubrica con una serie di numeri. Che non solo costituiscono l’unico linguaggio universale, ma spesso, come in questo caso, risultano indispensabili per fotografare una situazione (il male oscuro della Lazio) e magari prendere le misure per raddrizzarla. Spiego subito quel brutto terno del titoletto. Separando i primi tempi dai secondi, come se appartenessero a due campionati diversi, i punti raccolti da Pioli nel campionato dei secondi tempi sarebbero soltanto 10, contro i 23 dei primi tempi. Secondo numero “nero”: 13. Sono i gol subìti finora, media 1,18 a partita. La peggiore delle prime sei della classifica, e persino di squadre che nuotano molto più in basso come Torino e Atalanta. Terzo elemento del terno (non giocatelo mai): 6. E’ il più sorprendente e allarmante, si riferisce ai gol presi nel primo quarto d’ora della ripresa. Sei sui dieci – ancora il 10! – incassati nel secondo tempo. Equamente divisi fra Olimpico e trasferta, quindi non si tratta del fattore campo. Cosa, allora? Un vuoto che si crea nello spogliatoio durante il riposo? Deconcentrazione alla ripresa del gioco? Eccessivo dispendio di energie nella prima parte della gara? Il logorio – nel caso di Empoli – del trio Candreva-Parolo-Lulic finora sempre schierati? Questo è il problema, il male oscuro della Lazio. Primi tempi da Champions, secondi da parte destra della classifica. Per il resto la barca va, la manovra scorre, i gol fioccano. Quello della Lazio è il secondo attacco, superato domenica solo dalla valanga juventina. Ma i migliori piazzamenti, è una regola mai contraddetta, li ottengono le squadre con meno gol al passivo. Errare davanti umanum est, perseverare in difesa autem diabolicum. Giusto, Lotito? Non raccontiamoci balle, la delusione di Empoli è stata da veglia notturna, perchè la Lazio veniva da una lunga striscia positiva e perché la terza in classifica non può perdere contro la terz’ultima e perché stavamo già friggendo al pensiero di un Lazio-Juve con lo stadio stracolmo e i cuori all’erta. Diceva Martin Luther King che “non può esservi profonda delusione dove non c’è amore profondo”. Certo, ma l’amore va nutrito giorno per giorno. O quanto meno settimana per settimana. O Stefano Pioli si spiega male oppure i suoi giocatori non gli prestano la dovuta attenzione. Mi rifiuto di credere che l’allenatore non abbia indottrinato la squadra sulle modalità dei calci da fermo con cui l’Empoli aveva realizzato la metà dei suoi 10 gol. Eppure Barba, uno sbarbatello, ha spizzato di testa la palla proveniente da calcio d’angolo prima di Ciani e Cavanda e sul calcio di punizione – guardare foto e filmati – i più vicini al trentacinquenne Maccarone, che per sua fortuna non soffre di solitudine, erano Djordjevic e Biglia. Vicini si fa per dire, distanti tre/quattro metri. E i difensori? Stavano finendo una mano di ciapanò. Maurizio Sarri sembra il ritratto di un allenatore anni 50: la tuta con la scritta del club sparata sul petto, le scarpe da ginnastica Superga, gli occhiali con la montatura scura e pesante. Nella tv a colori Sarri appariva in bianco e nero, ricordando Alfredo Foni o Nereo Rocco o addirittura Annibale Frossi. Insegna calcio, e si vede, il suo Empoli non è una squadra permissiva (come Bettega ha definito su Mediaset il Parma anti-Juve, letterale). Napoletano cresciuto a Figline Valdarno, a soli 55 anni Sarri sembra sbucato dal passato remoto del calcio, eppure viene giudicato tra i più moderni. A 31 anni cominciò a collezionare panchine di provincia, a 47 si rivelò sostituendo alla guida dell’Arezzo un certo Antonio Conte che delle prime otto partite non ne aveva vinte neanche una. Poi ha conquistato la A con l’Empoli. Sì, ma tutto questo non assolve la Lazio dai suoi peccati. Adesso non starei a scrivere di Sarri se Candreva, Djordjevic e Parolo non avessero buttato alle ortiche facili conclusioni nel primo tempo e se i ragazzi di Pioli non fossero rientrati in campo nella ripresa con la testa fra le nuvole dense e scure sopra lo stadio empolese. (Corriere dello Sport - Recanatesi)