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Cragnotti lancia l’appello: “Tifosi della Lazio, seguite Lotito”. Poi aggiunge: “Manca un progetto, non si può vivere a fasi alterne”

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È il presidente più vincente della storia della Lazio. è stato uno dei manager di punta della finanza italiana fino al crack della Cirio, Sergio Cragnotti si racconta tra un passato pieno di gioie pallonare, un presente senza...

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È il presidente più vincente della storia della Lazio. è stato uno dei manager di punta della finanza italiana fino al crack della Cirio, Sergio Cragnotti si racconta tra un passato pieno di gioie pallonare, un presente senza calcio se non da tifoso aspettando di risolvere le sue grane giudiziare e un futuro pieno di consulenze per grandi aziende. Che cosa fa Cragnotti oggi? «Mi occupo di tante cose, anche di vino. Faccio consulenze per le imprese, lavoro con varie società, sfrutto la mia esperienza. In fondo sta accadendo ciò che avevamo previsto trenta anni fa, l'internazionalizzazione dell'economia era un passo obbligato, i fatti ci hanno dato ragione». La stessa cosa sta avvenendo nel calcio. «La diversificazione delle attività, il merchandising, il marketing: tutte cose che noi dicevamo già nel 1996. Siamo stati i primi, la Federcalcio non capì e bocciò il nostro piano. Oggi lo fanno tutti, partire venti anni fa avrebbe potuto far crescere i fatturati delle società calcistiche». Perché la Figc vi ha ostacolato? «Le nostre idee erano troppo innovative per quell'epoca, chi comandava voleva mantenere il controllo del Palazzo. Dare troppa autonomia ai club sarebbe stato pericoloso. Del resto la Juve è riuscita ad anticipare gli altri club, mentre io sono stato ostacolato proprio come Franco Sensi». Come spiega questa differenza di trattamento? «Agnelli controllava il territorio. Era un uomo rispettato dal Palazzo, dalle istituzioni». È mai stato vicino alla costruzione dello stadio? «Mai. Il Flaminio fu la nostra prima idea, secondo me per la Lazio sarebbe ancora oggi lo stadio ideale, ma il Coni si oppose, allora noi pensammo a un nuovo impianto». Il progetto tedesco. «Sì, un cono alto circa 350 metri con attività economiche differenziate. Al piano terra lo stadio, poi alberghi, uffici e così via. Un progetto che i tedeschi volevano realizzare nel momento dell'unificazione delle due Germanie, per dare a Berlino un esempio di grande architettura moderna. Loro rinunciarono, noi lo prendemmo come modello ma incontrammo molti ostacoli per l'ubicazione dello stadio e non solo. Ricordo la “raccomandazione” di Rutelli: “Mi raccomando Sergio, fallo più basso della basilica di San Pietro”». Infine l'idea dell'Olimpico? «Insieme alla Roma volevamo rimodernarlo, l'allora sindaco Veltroni approvò il progetto e creammo una società insieme al club giallorosso, si chiamava “Stadio Olimpico”. Ma il Coni si oppose ancora, bocciò l'idea dicendo che l'Olimpico era un monumento nazionale».

 

 

 

Oggi la Roma può farcela? «Hanno dirigenti importanti, mi hanno parlato molto bene del presidente Pallotta, un uomo capace di attuare i progetti. Del resto, lei crede che un americano venga a investire in Italia per fare il mecenate? Lui vuole realizzare un progetto industriale internazionale». Gli interlocutori istituzionali, però, non sono cambiati? «È vero, le istituzioni sono sempre quelle, guardinghe e orientate a difendere le proprie autonomie. Non so come finirà perché ci sono diverse contrapposizioni e difficoltà burocratiche. E poi il mondo sta attraversando una crisi economico-finanziaria molto importante, dunque investire in queste attività è sempre difficile e non so quali riscontri possa trovare un progetto simile. Ma i presupposti ci sono». Oggi conviene fare uno stadio? «Secondo me sì, può essere remunerativo ma solo se l'attività vive 360 giorni l'anno. Io lo vedo come un centro commerciale, la partita di calcio non può essere il fatto predominante. Occorre creare un progetto parallelo, bisogna costruire una grande squadra che possa competere nei mercati e nei tornei internazionali». Se fosse ancora presidente della Lazio lo farebbe uno stadio? «Sì, per i club maggiori può essere un progetto valido, per le squadre medio-piccole non credo». A tal fine la polisportiva potrebbe essere un vantaggio per la Lazio? «L'idea è valida. Io tentai di riunire venti polisportive, ma ci sono sempre stati ostacoli». Segue ancora la Lazio? «Certo, vedo le partite. Mi dispiace per il livello del calcio italiano oggi è mediocre, lo spettacolo è povero». I tifosi biancocelesti le hanno dimostrato grande affetto lo scorso maggio per la serata “Di padre in figlio”. «Mi ha fatto piacere, vuol dire che abbiamo lasciato qualcosa di concreto. Certo anche ai miei tempi i conflitti furono tanti. I tifosi non avevano compreso il progetto industriale: vendere giocatori ci permetteva di reinvestire per costruire una squadra importante. Ma io ho sempre cercato un confronto diretto con il popolo laziale». Lotito l'ha sempre accusata per i rapporti con gli ultras. «Anche noi abbiamo fatto la guerra e sostenuto le nostre tesi, ma senza rifiutare il dialogo. Sostenere le coreografie per un derby non significava appoggiare le politiche dei tifosi». Che cosa pensa dei rapporti conflittuali tra i tifosi e Lotito? «Con tutto il rispetto per i sentimenti dei tifosi, ora credo sia importante dare fiducia a Lotito per creare qualcosa di importante. Essere contraddittori in tutti i momenti non porta benefici: speriamo che questa presidenza possa far vivere momenti entusiasmanti come quelli vissuti ai nostri tempi. Certamente avere grandi campioni come sono Klose e Candreva porta entusiasmo. Questo è necessario: bisogna creare gli idoli per avvicinare i tifosi al club». Che manca a questa Lazio? «Un progetto. Lotito devo spiegarlo chiaramente, non si può vivere a fasi alterne. Per ora ha costruito una squadra di valore medio ma si deve migliorare se si vuole competere a livello internazionale. Abbiamo visto la Roma, quando ha incontrato il Bayern ha sofferto parecchio. Quando si pensa in grande bisogna fare grandi cose». Però c'è il fair play finanziario, come ricorda sempre Lotito. «I contenuti economici di una squadra sono completamente diversi oggi, dal marketing alla televisione e vanno valorizzati. È come un'attività industriale: prima sono un imprenditore piccolo, poi medio e alla fine entro nei mercati internazionali. Io credo che nella gestione Lotito questa evoluzione si stia verificando. Quando è partito era in grande difficoltà, poi ha costruito una squadra da Europa League, dunque sta crescendo. Ora deve trovare la soluzione finanziaria giusta perché la Lazio ha più che mai bisogno di spiccare il volo. È come l'aquila che a inizio partita fa il giro di campo e finisce al centro come per dire: “Ho fatto gol”. Ecco, la Lazio deve fare gol, deve diventare una delle società leader nel calcio internazionale». Lotito continua ad accusarla di aver lasciato un buco da 500 milioni. «I fatti sono spiegati nei bilanci e i dati si possono verificare. Tra l'altro lui ha trovato anche una parte attiva, come Formello e i calciatori. Non credo che il crack Cirio si sia riversato nel club, noi siamo usciti dalla Lazio perché ci hanno costretti e non perché la società si trovava in una crisi finanziaria irreversibile. Poi c'è stato l’interregno che ha dato i risultati che ha trovato Lotito». Come giudica l'impegno di Lotito negli affari politici? «Le grandi società come Juve, Milan e Inter l'hanno sempre fatto con dirigenti come Moggi, Giraudo, Galliani e Moratti. Per Lotito il progetto calcistico resta prioritario, una cosa è certa: della sua attività ne beneficerà anche la squadra. Quando sei presente in Lega e Federazione, questo dà dei riflessi positivi a 360 gradi». Che cosa pensa della tentata scalata di Chinaglia? «Credo si sia fatto strumentalizzare, non credo avesse le capacità per dirigere una società calcistica. C’è gente che ha utilizzato il suo nome». Il suo amico Gardini ha mai pensato di entrare nel calcio? «Sì, gli offrirono la Roma ma Sama si oppose e alla fine entrò nel mondo del basket». C'è un giocatore che lei è rimasto nel cuore? «Sono passati tanti anni, non ho più contatti con loro ma mi ha fatto piacere incontrarli per la festa dello scorso maggio. E poi è bello vedere come tanti nostri ex giocatori siano diventati uomini importanti: da Mancini a Simeone, da Stankovic e Mihajlovic: avevamo grandi calciatori ma soprattutto persone intelligenti». La scorsa estate il nome di Mihajlovic è stato accostato alla panchina della Lazio: lei l'avrebbe preso? «Io credo che Pioli sia un buon allenatore, sta dando alla squadra un gioco logico per i valori a disposizione. Ma a me piace tanto Simeone, perché è un grosso motivatore». Tornando indietro, invece, farebbe la stesse scelte? (Ride) «È difficile ripetere sempre gli stessi errori». E la quotazione in Borsa? «La rifarei senz'altro, perché non si è valorizzata al punto dovuto. Gli aspetti finanziari hanno prevalso, i tifosi avrebbero dovuto contribuire all'indirizzo industriale della società come avviene nei club spagnoli attraverso le quote associative, ma non è andata così anche per una volontà politica: il mondo economico ha sempre denigrato le società calcistiche quotate». Pensa che il calcio oggi sia pulito? «Se lo avessi creduto il calcio marcio non avrei investito tanti soldi. Qualcosa di poco chiaro c'è, ma la maggior parte del calcio è sana». Eppure un suo ex calciatore come Signori è finito nel ciclone dell'inchiesta sul calcioscommesse? «Qualche giocatore può avere la passione per le scommesse, ma questo non rappresenta il calcio». La moviola in campo? «Partecipare o non partecipare ai grandi tornei internazionali rappresenta una parte importante del bilancio di una società. Ma si sta andando verso questa direzione e alla fine ci si arriverà». La sua Lazio ha vinto meno rispetto ai meriti? «Abbiamo subito qualche torto, tutti mi dicono che abbiamo vinto poco. In quel momento eravamo la squadra numero uno nel mondo, lo disse anche Ferguson. Il condizionamento degli arbitri c'è sempre stato e c'è ancora». La violenza del calcio si fermerà mai? «Dipenderà dalle politiche sociali. Si stanno rivedendo le leggi per difendere lo spettacolo, però c'è tanta complessità perché vediamo tornelli, controlli e poi nello stadio entra di tutto. Se gli impianti fossero di proprietà delle società, del resto, gli azionisti avrebbero un interesse maggiore nel difendere il proprio patrimonio». Tanti tifosi sognano il ritorno di Cragnotti. «Non ci ho mai pensato. E non sono mai stato dietro a nessuna cordata vera o presunta. Anche perché ora ho da risolvere progetti ben più importanti. La vita è fatta di momenti ora spero che i tifosi biancocelesti possano rivivere l'entusiasmo del passato». Dove può arrivare la Lazio quest'anno? «Io credo in questa squadra, ha dei buoni giocatori. Se creano il giusto clima nello spogliatoio e sanno sacrificarsi possono arrivare senza altro in Europa League. E magari lottare per il terzo posto». Un pronostico per Lazio-Juve? «Credo che la squadra di Pioli possa fare bene, i bianconeri non sono una squadra fenomenale. Io comunque vado allo stadio e spero di divertirmi». Le sue traversie giudiziarie a che punto sono? «Siamo nella fase di appello, nel 2015 aspettiamo le sentenze. Di sicuro sono finito in questa problematica giudiziaria per dei fatti che potevano essere risolti in modo molto diverso, senza far fallire un grande gruppo industriale». (Il Tempo.it)