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ANDERSON – Lazio, il mago è tornato: e dopo il gol l’abbraccio bellissimo con Pioli…

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Non segnava da aprile, ieri prima da titolare: un super gol e tutto l’Olimpico fa festa

redazionecittaceleste

ROMA - Dite a Felipe di non sparire più, ditegli grazie per aver ricordato alla Lazio chi è, per essere tornato. Ditegli di non perdersi mai. L’ha rifatto quel tiro, l’ha rifatto quel gol a giro. Alla Felipe, alla sua maniera. E’ tornato regalando un raggio di sole in una notte buia, indicando la strada. E’ tornato dopo tanti mesi d’assenza perché non era il vero lui. Era fermo al lampo del 12 aprile, è tornato se stesso, non è più l’altro Felipe, lontano dagli occhi e dal cuore dei laziali. Colpi così sono i suoi colpi, in pochi possono pensarli, in pochissimi li centrano. Ha metabolizzato tutte le paure che gli correvano nel sangue, si è dato da fare finalmente.

E’ tornato - scrive il Corriere dello Sport -  il suo pallido simulacro sia solo un ricordo: «Sono contento, ringrazio Dio e i compagni che mi stanno sempre accanto. Ringrazio il mister che mi dà tranquillità, la prestazione poi viene fuori. Certo, il clima era difficile perché i tifosi vogliono vedere la squadra dell’anno scorso. Noi vogliamo vincere per farli felici e non firmare più prestazioni come quella di Napoli». Era impaurito, s’era inceppato. Era incapace di dare il meglio, gli stava sfuggendo tutto. E’ tornato più leggero proprio in questo periodo di tormenti: «E’ questo l’atteggiamento giusto. Il mio stile di gioco è partire in velocità, è costruire giocate difficili, devo avere fiducia per riuscirci. Pioli mi ha detto che il momento sarebbe arrivato, ho continuato a lavorare. Sappiamo che siamo forti, dobbiamo essere umili, dobbiamo correre e vincere le partite così come accaduto col Genoa».

LE PANCHINE - Dite a Felipe di continuare così, uno come lui non può stare a guardare. L’anno scorso esplose all’improvviso, prese coraggio, i colpi gli riuscirono a raffica, uno dietro l’altro. Magari accadrà di nuovo. Ieri era alla sua prima da titolare in campionato, prima l’avevano spedito in panchina (in A) quattro volte su quattro: «Ora dobbiamo continuare a giocare così. Fare gol e assist è sempre bello, ma l’importante è che la squadra vinca». S’è riacceso a fatica, dopo giorni di polemiche, di tensioni, dopo le lamentele espresse dalla sorella Juliana, dopo quel comunicato diramato nella notte di Lazio-Udinese. Quella volta regalò l’assist a Matri (gol del vantaggio), ieri ha chiuso i conti col Genoa, duravano da quattro anni: «Io corro per i compagni, non esiste solo Felipe, esiste la squadra e questo dobbiamo dimostrarlo in ogni partita. Sappiamo di essere forti, dobbiamo essere umili e lavorare, dobbiamo correre e vincere le partite».

AVANTI - Il sorpasso sulla Roma rievoca la sfida a distanza dell’anno scorso, fu Felipe a rendere possibile l’aggancio quando avvenne: «Guardiamo solo dentro noi stessi. Sappiamo che abbiamo tanto da migliorare». Ha riaperto lo show, ha riacceso la luce, ha spento la contestazione. S’è goduto l’abbraccio dei compagni, molto significativo, anche Marchetti l’ha raggiunto dopo aver lasciato la porta. S’è goduto la standing ovation, all’inizio avevano fischiato pure lui. Il cuore oltre l’ostacolo, raccontavano i nostri nonni. Felipe l’ha gettato davvero, alla vecchia maniera. S’è meritato la benevolenza divina. Ha salvato tutti lui, il salvatore dell’anno scorso. Una mano gliel’hanno data i compagni, l’altra se l’è data da solo. Cede quando si misura con il mondo e con le pressioni, gli capita spesso. Il suo è un caso che ha radici lontane, quasi sinistre. Era finito in panchina per imparare nuove lezioni, per ritrovare motivazioni e spirito. La panchina, forse, proprio male non fa. Ma ora basta. Tornateci voi, sembra dire.

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