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Sarri: “Vi racconto la mia passione per il ciclismo. Rispetto al calcio…”

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Le parole del tecnico biancoceleste, intervistato da Eurosport nel format “A ruota libera” per parlare della sua passione per il ciclismo
redazionecittaceleste

Di Gianluca Mattalini

In attesa di iniziare a lavorare per la nuova stagione, per Sarri è il momento di dedicarsi passioni e relax, tenendo sempre un occhio al mercato. Tra le più grandi passioni del tecnico della Lazio, forse la più grande, c’è il ciclismo. Proprio per questo, allora, Eurosport lo ha intervistato nel format “A ruota libera”. Di seguito le parole di Maurizio Sarri. “La mia passione con ciclismo c'è da sempre. Nonno, babbo, zii… Casa mia era pane e ciclismo. Era normale appassionarsi e andare in bicicletta. È stato tutto naturale, l'anomalia è stata il calcio non il ciclismo. Secondo me ero un buon ciclista e un giocatore mediocre. A me andare a correre pesava, perché la sentivo io come una responsabilità: sentivo che venivo da una famiglia di ciclisti e dovevo vincere. Per questo ho iniziato a giocare a calcio, ma l'amore per il ciclismo è rimasto sempre.

Parapei? Qui in Toscana ci si conosce tutti per soprannomi, Era il soprannome di mio nonno e io me lo sono scritto anche davanti a casa. Poi è diventato il soprannome del mio babbo e io ero il Parapeino, perché ero l'ultimo arrivato. Ero il Parapeino secco, perché ho iniziato a crescere fino a 187 cm ma pesavo 69 chili. Come ciclista ero più un passista veloce, mi divertiva tantissimo la discesa, ma ancora oggi. Credo che oggi sarei un corridore da classica in Belgio e non da grandi giri. Il mio primo ricordo del ciclismo è un Giro d'Italia vinto da Gimondi all'ultima curva, ero veramente piccolino. Ma la fulminata totale me l'ha data Francesco Moser. Io andavo a giocare e quando c’era la Parigi-Roubaix cercavo di calcolare le ammonizioni per essere squalificato. Moser l’ho veramente seguito con una passione enorme.

Lo trovai una mattina in Versilia, era ai primi anni di professionismo, aveva fatto un’operazione e si stava ricominciando ad allenare. Ero in bicicletta e lo vidi, aveva la maglia della Filotex: girai e mi misi a seguirlo a distanza. L'avevo seguito anche quando era ancora un dilettante perché correva in Toscana al Bottegone e babbo mi diceva sempre che c'era un ragazzo forte. Ogni tanto andavamo a vederlo. Poi dopo c’è stata l’illuminazione totale con Pantani. Noi iniziamo ad avere un’età che ti fa correre il rischio di pensare che il periodo precedente fosse sempre più bello. Il ciclismo a differenza di altri sport si fa sulla strada: la fatica è sempre l’aspetto predominante.

Ora è un periodo bello, le corse sono spettacolari. Ci sono 3-4 interpreti spregiudicati che ridono la corsa interessante, l’ho vista in poche generazioni una cosa così. Come vedo le gare? Aprile è il mese delle classiche, ma inizia a essere anche decisivo per le stagioni. Cerco di spegnere il telefonino e quando poi chiudo con il lavoro mi metto lì e guardo tutta la tappa. Noi abbiamo diversi fisioterapisti appassionati di ciclismo, mentre fanno massaggi guardano le corse. Il record di Ganna? Non si può relegare in terz’ordine, lo trovavo un insulto non al ciclismo ma allo sport in generale. Era una prestazione da esaltare. Mi sembra sia stata sottovalutata in maniera enorme, quasi disturbante. Fra una finale di Champions e la Parigi-Roubaix? Guarderei la seconda tutta la vita.

Nel ciclismo i ragazzi hanno un’attenzione particolare che nel calcio ancora non esiste. Nel calcio si fa un gioco, nel ciclismo uno sport. Nel calcio può essere più importante l’abilità tecnica, nel ciclismo se non vai al massimo dell’espressione fisica non hai soluzione. Chi fa ciclismo è molto più attento ai particolari, per certi livelli penso siano anni avanti rispetto al calcio. Landismo e Sarrismo? Come diceva Luca Gregorio sono quelle filosofie bellissime, ma quasi sempre perdenti. Come mi scrisse lui una sera il bello è il viaggio, non la meta. A noi piace la bellezza del viaggio, poi se la meta a cui arriviamo è la vittoria ancora meglio. La mancata esplosione? Capita anche nel calcio, gente che a 20 anni si pensa possa esplodere e poi a 25 non sono quelli di cinque anni prima. Non so se è mancata evoluzione fisica o mentale, manca qualcosa.

Oggi chi mi piace di più sono Pogacar e Van Aert nelle corse da un giorno. Il Giro d’Italia? Dicono sia stato brutto, ma è stato normale. Mancavano alcuni dei più forti, c’erano corridori forti che per caratteristiche non possono dare grande spettacolo. La differenza che c'è tra il Tour e il Giro mi ricorda quellla tra la Premier League e la Serie A: uno strapotere mediatico-economico che sarà difficile colmare, però speriamo che le grandi squadre abbiano interesse più per il Giro d'Italia in modo che questi nomi girino anche qui.

Per gli italiani siamo in un momento in cui siamo in attesa. Abbiamo avuto e abbiamo corridori che nelle corse di un giorno possono far bene, manca quello che potrebbe dare visibilità a tutto il sistema e far appassionare anche i giovani. Per quanto riguarda me, essendo innamorato del ciclismo, che Pogacar sia sloveno e non italiano mi importa poco, però per il sistema sarebbe importante un nome italiano che vince e che faccia appassionare i bambini ad andare in bicicletta".