ROMA - L'ex tecnico della Lazio dello scudetto del 2000, Sven Goran Eriksson, ha parlato dell'attuale Serie A e delle squadre che ha allenato in passato.
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Eriksson: “Lazio club più importante per me dopo l’Inghilterra”
L'ex tecnico della Lazio, Sven Goran Eriksson, ha parlato dell'attuale Serie A e delle squadre che ha allenato in passato
Questa l'intervista rilasciata dall'allenatore a Il Corriere dello Sport:
Sven Goran Eriksson, in quale parte del mondo si trova?
«Sono tornato in Svezia, una volta scaduto il contratto da cittì delle Filippine».
In Svezia? Come è possibile?
«Non sto tanto bene, ho qualche problema fisico, ma non preoccupatevi, tra un paio di mesi mi vedrete di nuovo su un campo di calcio».
Non può farne a meno, eh?
«No, non posso, voglio continuare a lavorare, per me il calcio è una droga. Non può neanche immaginare quanto mi sia costato dire no a un paio di proposte».
Immagino che non arrivassero da dietro l’angolo.
«Immagina bene. Mi avevano cercato dall’Africa e dall’Asia, ma ora proprio non potevo partire di nuovo. Comunque le ripeto che è solo questione di un paio di mesi, poi...».
Poi farà di nuovo le valigie.
«Ho allenato in tanti Paesi, in diversi continenti, ho avuto tante squadre belle e alcune anche brutte, ma me le sono godute tutte. A me non manca niente, sono un uomo fortunato in attesa di una nuova telefonata».
E se questa telefonata arrivasse dall’Italia?
«Tutto è possibile, io sono pronto, a disposizione, poi in fondo dentro di me c’è un pezzo di questo Paese».
Da dove cominciamo Sven?
«Le va bene se cominciamo dalla Fiorentina o dalla Sampdoria?».
E perché?
«Così non faccio un dispetto né alla Roma né alla Lazio».
Non ha perso la sua diplomazia con il tempo.
«Diciamo che sono diventato ancora più saggio».
Partiamo da Firenze, allora, dove per tutti era il rettore di Torsby. Sven ci pensa, da allora sono passati trent’anni.
«Mio Dio, sono tanti. E’ vero, ricordo, là scrivevate tutti che ero il rettore di calcio del paese dove sono nato, ora con trent’anni in più sulle spalle sono diventato un allenatore di mondo. Mi creda tuttavia, lo spirito è sempre lo stesso. Me la ricordo bene Firenze, la famiglia Pontello, i fiorentini, Roberto Baggio, Dunga, l’altro mio ‘figlioccio’ che se n’è andato».
È ora di parlare di Roma e Lazio…
«Parliamo della Lazio, che è un pezzo meraviglioso della mia vita. Avevo Sergio Cragnotti come presidente, voleva molto bene alla squadra e sul mercato mi comprava quello che volevo. E con il tempo siamo diventati uno squadrone. Quella Lazio era una squadra di campioni che mi divertivo ad allenare. Vi faccio una confidenza: la squadra più importante che ho allenato è la nazionale inglese, lo riconosco. Ma subito dopo arriva la Lazio».
Quindi per il suo cuore è più importante della Roma…
«Tanto tanto no, perché i romanisti sono favolosi per la loro passione e per il loro senso di appartenenza. Io ero molto giovane quando arrivai sulla panchina della Roma, a differenza della squadra che aveva gente più che esperta».
Cosa vuol dire?
«Era la Roma di Pruzzo, Conti, Graziani, gente che aveva vinto e di conseguenza non aveva più tanta fame. Poi l’abbiamo cambiata, facendola diventare più giovane».
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