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LA VERGOGNA – Un anno fa la retata di Varsavia

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ROMA - Varsavia un anno dopo. Nulla da festeggiare, molto da temere. Con processi ancora aperti e sentenze sospese. Quando il 28 novembre dello scorso anno i supporters biancocelesti sbarcarono in Polonia, entusiasti di seguire la propria squadra...

redazionecittaceleste

ROMA - Varsavia un anno dopo. Nulla da festeggiare, molto da temere. Con processi ancora aperti e sentenze sospese. Quando il 28 novembre dello scorso anno i supporters biancocelesti sbarcarono in Polonia, entusiasti di seguire la propria squadra in una trasferta oltreconfine (sfida contro il Legia), non potevano di certo immaginare la «calda» accoglienza che avevano riservato loro le forze dell’ordine. L’incontro davanti all’Hard Rock Café, si rivelò un appuntamento con il terrore. In centinaia furono rastrellati in strada, ammanettati come criminali, stipati nelle camionette. A distanza di alcuni giorni si seppe che gli uomini della polizia, in tenuta anti-sommossa, erano lì ad attenderli già da diverse ore, nascosti in una strada limitrofa come nella più classica delle imboscate. Purtroppo durante una manifestazione politica di piazza i dimostranti avevano creato notevoli disordini, sparando fumogeni e distruggendo alcuni locali della città di Varsavia. Il giorno dopo i media criticarono la polizia, imputandogli di non aver saputo gestire con fermezza la situazione. Ecco il perché della prova di forza contro i tifosi laziali, scelti per far ridare orgoglio alle divise polacche.

 

Dopo le prime udienze, tenutesi in lingua indigena e spesso senza la presenza di un traduttore, ventitré furono trasferiti nel carcere di Bialoleka. Trattati senza alcun riguardo, derisi perché italiani e i giorni passavano. L’allora presidente Letta, durante un incontro con il suo omologo polacco Tusk, non seppe far meglio di «chiedere l’applicazione delle leggi». Gli rispose ben più deciso il ministro degli Interni Sienkiewicz. «I familiari si trovano qui per assistere i loro figli banditi». Intanto, con ammissioni di colpe «solo per poter tornare a casa» e versamenti di 30mila zloti a cauzione, i nostri ragazzi rientravano in Italia. Con due anni di Daspo in valigia. «Per due ragazzi siamo ancora in attesa della Cassazione. – dice l’avvocato Roberto Privitera – Per altri tre, invece, dopo essere riusciti a far annullare le sentenza del primo processo, siamo ancora in attesa degli esiti dei ricorsi. Uno di loro, se condannato, rischia di dover tornare dietro le sbarre per altri due mesi». L’incubo continua, l’alba è ancora lontana. (Il Tempo)

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