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CASA LAZIO – Crisi Anderson: i tifosi tremano

LINEA VERDE - Lazio, i giovani portano al cambio di modulo: la decisione cade sul 4-3-3
Non segna perché non arriva bene al tiro. Non dribbla, non scatta perché non è al top della condizione. In Europa, se non giochi ad alto ritmo, ti travolgono, vieni schiacciato, non ti danno respiro.

redazionecittaceleste

- ANDERSON, ROMA - La testa blocca le gambe. E’ la timidezza il suo freno, soffre questa sindrome. E’ se stesso il rivale più difficile da affrontare, da sempre. E’ condizionato, strapazzato dallo stress che prova chi deve sempre fare il fenomeno, è incerto tra la grandezza e la normalità. Non è più ciò che è stato, almeno in questo momento. Non segna dal 12 aprile (Lazio-Empoli 4-0), non ha lasciato il segno nelle sfide cruciali, nel derby di maggio, nelle finali contro la Juve, nel preliminare. Il suo talento è unico, i suoi limiti sono caratteriali, di personalità, si nascondono fra le righe della classe. Palla a Felipe, il resto mancia. Succedeva così l’anno scorso. Oggi no - scrive il Corriere dello Sport - i colpi non riescono, i lampi sono spenti. Non segna perché non arriva bene al tiro. Non dribbla, non scatta perché non è al top della condizione. In Europa, se non giochi ad alto ritmo, ti travolgono, vieni schiacciato, non ti danno respiro. In Europa i campioni devono essere anche lottatori, si riconoscono dall’approccio. L’anno della verità, per Felipe, è iniziato in malo modo. Non riesce a fare l’ extraterrestre. Quando era al top e si sentiva sicuro correva di più, allegramente, con classe e grazia, decideva le partite, le vinceva da solo, segnando, servendo assist a raffica. L’impennata da terzo posto l’aveva garantita lui da dicembre 2014 ad aprile 2015, prima di spegnersi.

La crescita. Felipe soffre, vorrebbe ritrovare i suoi movimenti, il piacere di pensarli e realizzarli. Pioli l’anno scorso fu bravo, gli diede coraggio, ne forgiò il carattere, ne lucidò il repertorio tattico, lo spinse ad affrontare le sue paure. Pioli, un anno fa, lo fece sentire libero di seguire l’istinto, gli tolse pressioni, lo stimolò al meglio. Tutti si aspettano un Felipe Anderson in versione unica: forte in Italia e in Europa, forte e continuo da una stagione all’altra, forte contro ogni tipo di avversario. E’ il salto che deve compiere quest’anno. Si sa, le stagioni delle conferme sono le più difficili, le più complicate. Felipe ha confessato la sua sofferenza in Germania, dopo il match con il Bayer: «Voglio fare di più, sto lavorando per questo e per provare ad aiutare la squadra. Sto cercando di ritrovare la giusta forma giocando e attraverso la fiducia dei compagni». La fiducia, è un’altra chiave di lettura. Felipe ha bisogno di sentirla quotidianamente, da parte di tutti: società, allenatore, compagni di squadra. Felipe sa di essere indietro, è un ragazzo umile, non s’è mai autocelebrato, s’è sempre analizzato. Mercoledì, però, un appunto al gioco l’ha fatto: «Stavolta sono arrivati pochi palloni lì davanti...». Felipe si è messo sul banco degli imputati, ma ha chiesto anche rifornimenti, deve garantirglieli Pioli. Questo è vero, non ha avuto palloni appetibili, capaci di metterlo in condizione di affondare. Un’occasione l’ha creata, ha servito Keita, ha permesso allo spagnolo di infilarsi in area (duellando con Tah) e di procurarsi un rigore non dato dall’arbitro. Felipe vuole tornare Felipe, lavorerà sodo, ancora di più, l’ha detto, lo farà, è un ragazzo di parola. Si farà aiutare dalla fede, è stata uno dei suoi segreti nell’anno dell’esplosione. Felipe può diventare una stella capace di accendere i cieli della Champions. Non è ancora pronto per certi palcoscenici, può diventarlo. Nel film della sua vita dentro c’è tutto: sofferenze, sentimenti, paure, miserie, incubi e sogni. Il talento non gli è mai bastato per superarsi. Ha sempre pensato che il lavoro è decisivo, è fondamentale, è molto più di un destino.

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