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Brocchi: “Lazio, che emozioni: il primo trofeo secondo solo alla Champions. Il 26 maggio…”

Brocchi
L'ex calciatore, doppio ex della sfida contro i rossoneri, ripercorre la sua carriera soffermandosi sugli anni trascorsi in biancoceleste
Edoardo Benedetti Redattore 

Io ho sempre pensato che per stare bene in una squadra bisogna considerarla al pari di una famiglia. Il Milan per me lo è stato: ho fatto dieci anni di settore giovanile, sette da calciatore e tre da allenatore a Milano. Mai avrei pensato nella mia vita di trovare un altro posto dove veramente mi sentissi a casa e dove riuscissi ad inserirmi e legarmi in maniera così forte come mi è successo con la Lazio. l'ambiente biancoceleste mi ha conquistato sotto tutti i punti di vista”. Inizia così il racconto di Cristian Brocchi a Il Cuoio. L'ex calciatore biancoceleste, doppio ex in vista della sfida con il Milan, ripercorre la sua carriera. Queste le sue parole.

Brocchi, partiamo dall'inizio della sua carriera.

Dieci anni nel settore giovanile del Milan, fascia di capitano al braccio, tante soddisfazioni. Poi ho fatto tre anni di Serie C tra Pro Sesto e Lumezzane: due all'Hellas Verona e poi l'Inter. Dopo l'esperienza con i nerazzurri, ci fu il ritorno al Milan”.

Cosa è significato quel ritorno a Milanello?

Una rivincita personale e verso chi precedentemente non aveva creduto in me. Ho lottato tanto per riprendermi la maglia che tanto desideravo”.

Nonostante dividesse lo spogliatoio con alcuni tra i calciatori più forti in circolazione, è riuscito a ritagliarsi un ruolo importante e a giocare con con-inuità. Vincendo tantissimo...

Faccio sempre un paragone. Quando ero alla Lazio e facevo 25/30 partite nel corso di una stagione, nell'immaginario generale ero considerato un titolare inamovibile. Se gli stessi numeri li facevo al Milan, per tutti non ero un titolare. Ma io dico sempre che riuscire a fare 20-25 gare in quel Milan, con quei campioni, era qualcosa di incredibile. E poi ho avuto la fortuna di giocare alcune tra le gare più emozionanti per arrivare a vincere dei trofei. Ho giocato i quarti di finale di Champions League con l'Ajax e uno dei due derby in semifinale da titolare. Partite che molti sognano la notte: poterle giocare con la maglia del Milan, nella città dove sono nato, è stato il massimo. Ti ripaga anche di alcuni momenti difficili che hai dovuto passare”.

In quel Milan era allenato da Carlo Ancelotti.

Un grande. Il miglior allenatore dal punto di vista gestionale. Se fossi il presidente di un top club europeo, prenderei subito lui. È in grado di far stare bene tutti, di farti sentire sempre importante. Anche nei momenti in cui giocavo meno, avendo dei mostri sacri davanti, non mi è mai mancata la sua fiducia. Ci stava che in quel Milan si facesse fatica a giocare titolare, ma lui mi ha sempre fatto sentire importante. Di settimana in settimana percepivo la sua stima costante: non mi ha mai fatto sentire inferiore a nessuno e quando poi mi schierava ero pronto a dare il massimo. Anche per ripagarlo della fiducia. È stato bravissimo a gestire me e tutti quei fenomeni che allenava”.

Il momento più bello vissuto al Milan?

Ripeto: giocare da titolare un quarto di finale di Champions League contro l'Ajax e risultare uno dei migliori in campo, è un qualcosa di straordinario. Così come la doppia semifinale contro l'inter: il primo derby lo giocai titolare, il secondo subentrai”.

Cosa l'ha spinta, l'estate del 2008 a lasciare Milano e trasferirsi a Roma?

Furono due i motivi principali. Il primo di carattere personale: se tu guardi i tabellini delle gare che ho giocato, ti accorgerai che ho fatto tante gare di livello importante: due semifinali Champions nel 2003, una semifinale nel 2007. Eppure molti facevano fatica a considerarmi parte di quelle vittorie. Sembrava sempre che i meriti fossero tutti di altri. Anche di chi giocava molto meno di me. Mi sono ritrovato in una situazione assurda, dove sembrava sempre che altri vincessero i trofei e io no. Quindi avevo voglia di cambiare, di vincere con una maglia diversa rispetto a quella del Milan. E poi, non so perché, ma la Lazio è una squadra che mi è sempre stata simpatica. Se pensavo alle due squadre di Roma, sono sempre stato filo laziale e ho sempre creduto che prima o poi avrei giocato in quella squadra. Quando mi si è prospettata questa possibilità, non c'ho pensato due volte. Ho puntato sulla Lazio, sulla voglia di questo club, che in passato aveva avuto gente come Veron, Crespo, Salas, di crescere e tornare a vincere”.

Prima stagione e arriva subito un trofeo...

Abbiamo vinto la Coppa Italia battendo in finale la Sampdoria. Una soddisfazione enorme. Il mio obiettivo era quello di vincere da protagonista, con una maglia diversa rispetto a quella del Milan: e ce l'ho fatta subito. Quando mi chiedono quali siano le vittorie più importanti della mia carriera, io dico la Champions League del 2003 col Milan e la prima Coppa Italia con la Lazio. Ricordo che alla vigilia della gara con la Sampdoria c'era una tensione clamorosa. Anche perché a differenza di quando giocavo nel Milan, con giocatori che sapevano gestire le emozioni e le attese, a Roma c'era un gruppo diverso: una squadra che sentiva molto quella sfida. Venivamo poi da un campionato strano, iniziato bene e finito male. Quindi c'era proprio una grande voglia di vincerlo quel trofeo. E ci siamo riusciti: davanti alla nostra gente, davanti ad un pubblico meraviglioso”.

Passano pochi mesi ed arriva il bis...

A Pechino, in Supercoppa, contro l’Inter di Mourinho. Giocare subito un'altra finale, vincere un'altra coppa, è stato fantastico: battere l'Inter, quell'Inter stellare, per me fu poi una goduria doppia. Un'altra grande emozione, anche se imparagonabile a quella Coppa Italia con la Sampdoria”.

Alla Lazio ha avuto quattro tecnici.

Quello con cui mi sono trovato meglio, senza ombra di dubbio, è stato Reja. Mi ha allungato la carriera. Una persona fantastica e un grande tecnico. È stato un gestore perfetto all'interno del gruppo: ha toccato le corde giuste e io credo di avergli dato una bella mano, anche in una situazione difficile. Mi ha gestito benissimo e in quegli anni credo di aver dato un buon contributo. Anche la prima stagione con Delio Rossi fu importante. Con Ballardini le cose non andarono bene, mentre Petkovic ha dimostrato di essere un grande allenatore. Purtroppo con lui ho potuto lavorare poco. In quella stagione ho smesso di giocare”.

Colpa di quel colpo subito da Matuzalem?

Quello è stato il colpo di grazia, ma in realtà già dall'anno prima avevo avuto dei problemi seri, dai quali non mi sono più ripreso. C'ho provato in tutti i modi, ma non ce l'ho fatta. Peccato non essere riuscito a lavorare più tempo con lui”.

Lascia il calcio al termine della stagione 2012-13, con la vittoria della Coppa Italia contro la Roma.

È stata la chiusura del cerchio. Ringrazierò per sempre la Lazio, che mi diede la possibilità di festeggiare quella vittoria a Piazza di Spagna con migliaia di tifosi. E stato un premio ai cinque anni passati a Roma. Chiaramente quell'anno non sono riuscito a dare tanto in campo, ma ho cercato di aiutare dal punto di vista morale. Petkovic mi fece fare il discorso alla squadra prima della finalissima. È stato il premio più bello per i cinque anni passati a Roma. Un ambiente straordinario, con tifosi unici. Che mi hanno fatto sentire al top. Il saluto che ho ricevuto allo stadio Olimpico il giorno del mio addio, è stato da brividi: ancora oggi quando mi sento giù, rivedo quelle immagini e mi viene la pelle d'oca”.

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