È una lunghissima intervista quella concessa da Giuliano Giannichedda al Corriere dello Sport. Di seguito le parole dell’ex biancoceleste, in campo nel 2003. “La semifinale di Coppa Uefa contro il Porto, ancora oggi, per me rappresenta una grandissima delusione. Eravamo a un solo passo dalla finale, un traguardo che secondo me avremmo meritato anche pensando al cammino che avevamo svolto in quella competizione. Purtroppo però le cose andarono male. Ricordo che l’ambiente era molto caldo, ci fu un impatto molto forte con lo stadio. La gente era ovunque, sia fuori che dentro lo stadio. I portoghesi sono tifosi molto calorosi e inoltre erano anche affamati di vittorie a livello internazionale. Riuscirono a far pesare il fattore campo. Noi riuscimmo a segnare alla prima occasione con Claudio Lopez, forse troppo presto. Sembra un controsenso, ma fu deleterio per noi. Mentalmente forse pensammo di aver fatto il più.
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Giannichedda: “Alla Lazio miglior periodo in carriera ma contro il Porto…”
Le parole dell'ex biancoceleste, che ricorda la partita dell'aprile 2003 in cui i portoghesi ipotecarono il passaggio in finale di Coppa UEFA
Non eravamo mentalmente pronti per partite di quel livello, loro invece stavano diventando grandi. Vinsero la Coppa quell’anno e la Champions l’anno dopo. Quella notte Peruzzi commise un solo errore, ma gli altri gol li prendemmo per colpa nostra. Fu un episodio sfavorevole dopo una serie di gare in cui aveva retto la baracca. Un errore del portiere si nota di più, ma quel giorno non fummo impeccabili. Rimane ancora oggi la più grande delusione della mia avventura in biancoceleste. Loro erano forti, ma non erano ancora la squadra che vinse la Champions. Commettemmo troppi errori e vanificammo la possibilità di ribaltare il risultato al ritorno con 70 mila spettatori. L’anno dopo ci siamo rifatti con la Coppa Italia per fortuna. Non fu facile, ma riuscimmo ad andare oltre le problematiche societarie.
Formammo la Banda Mancini. Nonostante tutti i casini, riuscimmo a isolarci pensando solo al campo. Ricordo quegli anni come i più belli della mia carriera. Avevamo formato un gruppo unito, composto da amici. Fu la grande vittoria di Mancini. Svolse un lavoro fondamentale, togliendoci pressioni e responsabilità. Ci fece rendere al meglio, da un punto di vista tecnico eravamo un’ottima squadra ma a livello di gruppo pensavamo di essere imbattibili. Mi sembra la stessa cosa che Mancini di quest’estate in Nazionale. La mia grande dote è sempre stata quella di regalare equilibrio, per questo giocai tanto. È il motivo per cui mi sono creato il mio spazio. Nell’estate 2004 non andai via per una scelta di cuore e una presa di coscienza. La Lazio mi aveva fatto giocare in Champions, vincere una Coppa Italia e indossare la fascia di capitano. Nonostante le offerte, non me la sono sentita di lasciare”.
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