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Romagnoli: “Sinisa, Sarri e il derby: vi dico tutto. Ed ecco cosa sogno per la Lazio”

Alessio Romagnoli
Il difensore biancoceleste ha rilasciato un’intervista in esclusiva ai microfoni di Cittaceleste raccontandosi a tutto tondo e senza segreti

Senza mai nasconderlo, perché in fondo è giusto così. Perché lui non voleva giocare in Serie A, lui voleva giocare nella Lazio: un sogno per tanti, una conquista per pochi. Alessio Romagnoli, alla fine, quel sogno lo ha realizzato. Ma quella maglietta l’ha sempre indossata, tatuata sulla pelle: da giovanissimo, quando il 26 maggio 2013 sedeva sulla panchina sbagliata. O con il Milan, in quella mancata esultanza che diceva più di mille parole. Anche perché per dire tutto ne bastano pochissime, le prime pronunciate ormai un anno e mezzo fa: “Forza Lazio sempre, non scordatelo mai”. Un pilastro per Sarri, un esempio per tutti: ad Alessio Romagnoli è bastato essere se stesso per prendersi la Lazio. E, in un’intervista esclusiva concessa a Cittaceleste, ha raccontato tutto: passato, presente e futuro tra sogni, speranze e traguardi.

Che vuol dire indossare la maglia della Lazio?

Per me indossare la maglia della Lazio significa coronare il sogno che avevo da bambino, è un orgoglio e un’emozione, qualcosa anche difficile da spiegare”.

Come è arrivata l’opportunità?

È una cosa durata diverso tempo. È sempre stato un mio pensiero e una mia volontà quella di venire qui. Con la mia situazione all’epoca, senza contratto, c’è stata questa opportunità e ho pensato fosse il momento giusto per venire qui. Un grazie devo dirlo sicuramente alla società, al presidente che ha fatto uno sforzo, ad Igli (Tare, ndr) che è stato fondamentale. Con lui ho parlato molto tempo di questa situazione, ma anche ai ragazzi, allo staff tecnico e al mister: hanno tutti fatto sì che potessi venire qui”.

Che tipo è Sarri? Con noi brontola spesso: per il campo, per le partite ravvicinate…

Quello è vero. Il campo che non va bene è un punto che bisogna mettere a posto, perché per fare il nostro gioco o qualsiasi gioco almeno in Serie A bisogna avere un campo in condizioni buone. L’Olimpico non lo è nella maggior parte delle volte e non lo è nemmeno ora. Penso che si veda, non so se lo notate anche voi. Però penso che soprattutto per il nostro gioco il campo deve essere in perfetta condizione, come in Inghilterra dove ci sono leggi in merito. È sbagliato avere campi brutti, che non permettono di dare un bello spettacolo alla gente”.

E Sarri?

Penso sia il migliore allenatore che ho avuto fino a oggi, ero curioso di vedere come lavorasse con la linea. Non dimentico gli altri allenatori che ho avuto: per me tutti sono ottimi mister. Ognuno ha le proprie caratteristiche, ma nel complesso per quello che piace a me Sarri lo metto come primo, perché cura in modo maniacale la linea difensiva, perché ha dei concetti con la palla che a me piacciono molto. È veramente un mister molto molto forte”.

Noi abbiamo vissuto anche l’era Zeman a Roma, lui faceva il fuorigioco a centrocampo mentre il gioco di Sarri sembra meno spregiudicato.

L’ho avuto anche io Zeman, so di cosa parliamo (ride, ndr). Con Sarri lavoriamo in base alla palla, vediamo se è scoperta o coperta e in base a quello reagiamo di conseguenza”.

Come mai il Milan ti ha lasciato andar via a parametro zero? Ti sei sentito un po’ abbandonato?

Non lo so, ma è una domanda che va fatta ai direttori dell’epoca e non a me. Non mi sono sentito abbandonato, ma avevo un accordo con loro e poi non si è deciso di continuare. Loro hanno fatto altre scelte, io ho fatto le mie ed è finita così, in modo molto sereno e pacifico. Con il Milan ho passato sette anni, l’ho sempre detto: è un periodo della mia vita molto bello e che porterò sempre nel mio cuore. Potrò solo parlare bene del Milan”.

Da dove arriva la scelta del numero 13?

Anche questa è una domanda a cui faccio fatica a rispondere (ride, ndr). È il numero di Nesta, piace a ogni difensore italiano. Ma ho anche altri numeri a cui sono molto legato, che al Milan non potevo prendere. Uno era ritirato, il 6 di Baresi. E da lì il 13 è diventato il mio numero. L’ho preso su consiglio di Galliani, da lì diventò il mio numero. Ma non è un 13 solo milanista, è anche laziale perché era il13 di Nesta”.

Ci racconti la crescita di Patric? C’è differenza nel giocare con lui o con Casale?

L’ho sempre reputato un ottimo giocatore, ma secondo me il nostro modo di giocare ha risaltato ancor di più le sue caratteristiche: meglio per noi (ride, ndr). Io mi trovo bene con tutti, anche con Gila: è un ottimo ragazzo, è giovane ma anche se sta giocando poco ha ottime qualità. Ognuno di noi è diverso, Casale e Patric sono più esplosivi e di posizione”.

Come hai fatto a esultare il 26 maggio 2013 dalla panchina e con la maglia della Roma addosso?

È stata una gara particolare, perché comunque da professionista ero dispiaciuto per la sconfitta e penso sia anche giusto. Era un titolo, io ero tesserato della Roma ed era normale fossi dispiaciuto per la sconfitta. Ma allo stesso tempo l’ha vinto la mia squadra, normale fossi un po’ più sollevato. È stata una partita difficile”.

Perché in classifica davanti si trovano sempre le stesse tre squadre salvo rari casi?

Perché credo che Milan, Inter e Juventus abbiano una cultura nel ricominciare da zero molto migliore rispetto magari alla nostra. Sono abituati a competere da anni nelle alte posizioni di classifica e gli va dato merito. Lottano ogni anno per vincere o per la Champions, secondo me è la mentalità che è un po’ diversa. Spero che anche noi riusciremo ad ambire ogni anno alle prime quattro posizioni. Sarà sempre fondamentale ogni anno entrare in Champions”.

Nell’addormentarti dopo il derby quante volte hai ripensato a quel colpo di testa?

Eh, parecchie. Perché potevo magari far meglio io, magari l’ho presa troppo bene. Si può sempre far meglio, questa è una cosa in cui credo fortemente. Ma spero che ci sarà tempo per vincere un derby con un mio gol”.

Dal campo avete avuto anche voi la sensazione della scenografia della Roma che non si srotolava?

Sinceramente non l’ho guardata, però ho visto l’altra molto attentamente. Ma poi con il fischio dell’arbitro c’è solo la gara”.

C’è una persona a cui devi dire grazie nella tua carriera? E una che forse ti ha ostacolato?

Il grazie penso di doverlo a Sinisa, ha scommesso su di me e ha fatto sì che potessi crescere prima alla Sampdoria e poi in una grande squadra come il Milan. E poi Bruno Conti perché mi ha scoperto da bambino permettendomi di entrare nelle giovanili della Roma, quindi sicuramente un grazie va anche a lui, che tra l’altro è del mio stesso paese. Io sono nettunese, ma sono nato ad Anzio perché a Nettuno non ci sono ospedali che facciano nascere i bambini. Ma sono di Nettuno, di un quartiere che si chiama San Giacomo, e ne sono molto fiero. Lì c’è una bella tradizione del baseball, da piccolo ci giocavo anche io. Qualcuno da non ringraziare? Nessuno, non penso ci siano state per ora persone che abbiano ostacolato la mia carriera”.

Che ti aspetti di raccogliere dalla tua esperienza alla Lazio, visto che la Champions difficilmente potrete vincerla?

Mai dire mai, è tutto complicato. Ma io spero che la Lazio continui a crescere anno dopo anno, diventando una realtà importante del calcio italiano e non solo. Credo che questa qua sia la prima cosa. Quando uno pensa alla Lazio deve pensare a una squadra di livello europeo, è la cosa primaria. E poi sicuramente vincere qualche titolo, perché è bello e sarai sempre ricordato come un vincente per quella maglia. Io ho vinto pochi titoli, al Milan abbiamo passato anni difficili, non eravamo una squadra pronta. Ma speriamo di mettere a paro adesso”.

Parliamo un po’ di più di Sarri.

Il mister è una persona molto diretta, come è giusto che sia. Preferisco questo tipo di persone, siamo tutti grandi e non siamo più bambini. Se c’è qualcosa da dire meglio farlo faccia a faccia. Ci troviamo bene con lui sia in campo che fuori, stiamo bene. È un bel gruppo, sano, che può fare bene”.

Sei sposato, fidanzato? Raccontaci qualcosa di te.

Sono fidanzato, ma non mi piace parlare della mia vita privata. Preferisco separare le due cose, tra vita privata e professionale. È una cosa che ho sempre pensato, non credo sia opportuno render pubblica la mia vita privata. Si tratta semplicemente di cercare un po’ di protezione e serenità”.

C’è qualcosa che ti auguri possa accadere?

L’augurio è di poter diventare grandi tra i grandi, di ritornare a esserlo come siamo lo stati tra fine anni ’90 e inizio 2000. Anche perché i nostri tifosi se lo meritano e per noi sono fondamentali. Lo dobbiamo a noi stessi, ma lo dobbiamo anche a loro”.

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