ROMA - Durante l’iniziativa “Il Pallone Bucato - Il Fallimento del calcio italiano”, organizzata dall'Associazione Fare, insieme a Pino Wilson e Riccardo Viola, è intervenuto anche il presidente della Lazio ClaudioLotito.
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Lazio, Lotito: “Vi racconto come ho preso Tare, Bielsa l’ho cacciato io. E su Inzaghi…”
Ieri il presidente della Lazio Claudio Lotito è intervenuto nel corso dell'iniziativa: "Il Pallone Bucato-Il fallimento del calcio italiano", presso Campagnano di Roma. Il numero 1 biancoceleste ha ripercorso tutte le tappe dal suo insediamento...
Il patron biancoceleste ha ripercorso attraverso un lungo intervento alcuni momenti della sua gestione della Lazio da quando si insediò ad oggi, raccontando degli aneddoti.
GESTIONE - “Quando sono entrato in questo mondo, nel 2004, c’era una concezione del presidente come padrone. Ho trovato un bilancio con 84 milioni di ricavi, 86 milioni di perdite e 55 milioni di debiti. Tutti pensavano che risanare la Lazio fosse impossibile. Questa società ha avuto tanti presidenti e se oggi esiste ancora è grazie a gente che ha dato tutto. Io sono il proprietario, è vero, ma ho l’obbligo di preservare un patrimonio simbolico e affettivo che è di tutti. Si deve creare senso di appartenenza, di lazialità. Io vedo che questa Lazio ha una storia di sofferenza che risale al 1900, agli ideali di chi l’ha fondata. I colori sono quelli olimpici, lo sport è al di sopra di tutto. Sono 15 anni che faccio il presidente e non ho mai preso un euro, significa che ho interpretato il mio ruolo con un ideale olimpico. L’anno scorso la Lazio ha chiuso il bilancio con 38 milioni di utile, è una società fortissima con un patrimonio immobiliare di 200 milioni e un patrimonio di giocatori di 600 milioni”.
QUESTIONE STADIO - “Avevamo fatto una legge perfetta, che includeva la legge di compensazione: se investo 100 milioni ne devo avere indietro 100. Ora è tutto più lento, bisogna creare un sistema polifunzionale nel calcio. Si deve creare una struttura aperta h24, 365 giorni all’anno, con attività che possano creare risorse per il club”.
INIZIATIVE - “Quando sono diventato consigliere di Lega ho iniziato alcune battaglie importanti. Ho imposto che per iscriversi al campionato dovevi aver pagato gli stipendi: prima si pagavano con le cabriolet, con gli assegni post - datati. Poi ho combattuto per l’Iva, che quando sono arrivato io non era dato sensibile per l’iscrizione al campionato. Galliani voleva approvare tutto senza l’Iva, io mi opposi. Alla fine abbiamo approvato la legge. Oggi è tutto in mano ai procuratori. Chiedono 2-3 milioni di percentuale. Ma che lavoro fa il procuratore? L’avvocato. Quanto ci mette un avvocato a fare 3 milioni? Quando sono arrivato alla Lazio c’era Mendieta, costato 90 miliardi. Arriva il procuratore e voleva una percentuale. Ho dovuto fare di necessità virtù: quando compri una cosa prima la usi e vedi se funziona, se no la dai indietro. Così ho inventato il prestito con diritto di riscatto. Quando presi la Lazio comprai 9 giocatori in un giorno, tutti in prestito con diritto di riscatto. Tra questi anche i gemelli Filippini. La gente rideva, con i fratelli Filippini abbiamo vinto il derby 3 a 1”.
ULTIMO DERBY - “Stavo nella pancia dello stadio a vedere le trasmissioni. Sullo schermo ecco De Rossi che, in modo encomiabile, dice una cosa: “Questa non è più la Lazio dei Filippini, la Lazio è più forte di noi sia individualmente che collettivamente”. Sono uscito, ho incontrato De Rossi e gli ho fatto i miei complimenti per la sportività. Il calcio è così, si è avversari sul campo, non si è nemici”.
IL CASO TARE - “Dicevano che era venuto col gommone, lo prendevano in giro. Ho fatto invece una grande scelta. Avevamo preso l’impegno di prolungargli il contratto. Viene all’incontro con il procuratore e gli dico: “Guarda, io non ti rinnovo”. “Ma come, lei aveva dato la sua paroa, non è corretto, non è serio”. Gli ho detto che avevo intenzione di fargli fare il direttore sportivo. “Ma come, non ho neanche il patentino”, mi ha detto. “Non ti preoccupare, quello lo prendi. Pensaci, ti do 30 minuti”. È tornato mezz’ora dopo e mi ha detto di sì. La prima telefonata che ricevo è quella di Delio Rossi. Mi chiede se avessi scelto il direttore, gli dico di sì e lui mi fa: “Mica avrà scelto Tare”. “E invece proprio Tare ho scelto!”, gli risposi. “Lei lo fa perché sa che lui è contro di me”. Allora sbottai: “Come si permette a parlarmi così, moderi i torni: lei è un dipendente, faccia il dipendente e comunque tra due mesi mi ringrazierà”. Dopo un po’ di tempo andiamo a Siena e perdiamo 2 a 0. Delio Rossi dice a Tare: “Dica al presidente che mi esonerasse, io non controllo più la squadra”. Tare viene, mi racconta tutto e mi fa: “presidente, io lo difenderei”. “Hai ragione, lo difendiamo”, ho risposto. Quell’anno abbiamo vinto la Coppa Italia”.
SIMONE INZAGHI - “Quando mi sono insediato chiamavo i giocatori per rinegoziare i contratti. Si presenta Simone Inzaghi con Tullio Tinti e gli propongo 5.3 milioni per 5 anni. Il procuratore è soddisfatto. “Avete capito bene?”, gli faccio, “gli faccio 5.3 milioni in 5 anni”. “All’anno”, dice lui. “No, in totale”, rispondo. Inzaghi mi fa: “Posso parlare da solo con lei, presidente?”. E gli dico: “Che vuoi fare dopo?”. “L’allenatore”, risponde. “Ti faccio fare l’allenatore”. Quel periodo era veramente drammatico. Dormivo un’ora a notte. Insomma, Inzaghi va a Genova, alla Sampdoria, passa un momento difficile dal punto di vista familiare e quando non giocava più Sabatini mi dice: “Licenziamolo”. Io dico no, poi è andato a Bergamo. L’ho chiamato e gli ho detto: “Simò, la carriera tua me pare che è finita, ti offro di fare l’allenatore degli Allievi Regionali”. Vince il campionato Allievi Nazionali, poi Bollini va con Reja a Bergamo e allora prendo Simone e lo metto alla Primavera, dove fa bene. Poi sarebbe andato alla Salernitana, ma siccome la piazza borbottava, ho lanciato la storia di Bielsa.
IL CASO BIELSA - Bielsa l’ho cacciato io. Quando stavo in Francia Tare mi chiamava e mi diceva che aveva comprato dei giocatori che voleva l’allenatore, dopo 3 minuti non andavano più bene. Torno a Formello, con Tare chiamiamo l’allenatore e inizia una situazione di un certo tipo. Tare gli parlava, lui rispondeva come se fosse uno scienziato. A un certo punto mi sono mortificato per Igli e ho preso il telefono: “Senta mister, lei se ne deve andare”. Tare era pallido”.
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