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Serie A, il protocollo Covid sembra già superato

Andreas Pereira

I controlli Uefa stanno facendo emergere diverse problematiche. E la bolla è diventata controproducente

redazionecittaceleste

ROMA - La Serie A, come tutte l’Italia, è ostaggio del Covid 19. I casi continuano a moltiplicarsi, tracimando spesso in autentici focolai: è successo prima di tutti al Genoa, oggi il caso di scuola è la Reggiana, in Serie B, con 29 positivi. Ma anche Milan, Inter e Lazio hanno numeri significativi. La sensazione nitida è che, a 130 giorni dalla ripresa del campionato dopo il lockdown, i protocolli per la sicurezza dei calciatori sembrano già superati.

Il protocollo sbiadito

Nell’ultima parte della scorsa stagione, quella subito dopo la “Fase 1”, in Serie A non si era registrato nemmeno un caso. Si ripartì seguendo alla lettera un protocollo, definito dalla Lega Serie A e validato dal Comitato tecnico scientifico del governo, e tuttora in vigore: il testo prevede che la squadra che abbia un positivo possa comunque giocare il campionato, ma dopo l’isolamento domiciliare del giocatore contagiato e aver chiuso il gruppo squadra chiuso in una “bolla”, nel centro sportivo o in una struttura precedentemente indicata, come un hotel, senza contatti con l’esterno. Sempre più spesso però questo non succede: Inter, Roma e Milan, solo per citare gli ultimi casi, con autorizzazione dell’Autorità sanitaria, territoriale o locale che sia, hanno ottenuto la possibilità di concedere ai calciatori di rompere la "bolla" e dormire in casa. Una deroga al protocollo – che è già deroga di per sé – ma che pone una questione: il Cts ha permesso lo svolgimento delle partite nonostante i casi di positività solo alle condizioni previste dal protocollo. Chi autorizza le società che agiscono in deroga a scendere comunque in campo? Domanda ancora più pertinente dopo il caso di Juve-Napoli, quando Serie A e Figc hanno discusso proprio un parere vincolante di una Asl in ragione del protocollo.

Il “modello” Roma

Quello che molti pensano e nessuno dice è che, senza test continui, la “bolla” possa essere addirittura controproducente. Il rischio infatti è di chiudere in un gruppo ristretto che passa le giornate insieme, anche chi tra un tampone e quello successivo – col nuovo protocollo passano anche sette giorni – può essere diventato positivo. La Roma sta studiando una soluzione per superare il rischio: il club ha infatti scelto di sottoporre ogni giorno tutto il gruppo squadra a tamponi antigenici e ha ingaggiato un infermiere che possa effettuarli a Trigoria: meno invasivi, con risultati immediati e un’attendibilità del 96%, permettono di individuare subito un caso e isolarlo prima che venga in contatto coi compagni, in attesa di fare il test molecolare di conferma. Anche altri club hanno iniziato a informarsi: il sistema dovrebbe permettere (il condizionale è obbligatorio, col Covid) di prevenire la formazione di focolai interni. Non solo, il club applica anche alla Primavera il protocollo previsto dalla Lega Serie A per un totale di oltre 8mila tamponi effettuati da maggio.

Il laboratorio sotto esame

Un altro falso positivo nei test Uefa. Il laziale Pereira è solo l’ultimo calciatore che vede farsi comunicare una positività sospetta prima di una gara internazionale, poi smentita dal secondo tampone. Una settimana fa era capitato all’interista Hakimi con coda polemica, visto che aveva dovuto saltare il match col M’gladbach. E in precedenza con l’Italia ad El Shaarawy e a due giocatrici della Nazionale femminile. Il minimo comune denominatore è il laboratorio di analisi Synlab, scelto dalla Uefa per tutti i propri test, dalle competizioni per club a quelle per nazionali. Problemi simili li avevano riscontrati - scrive Repubblica anche la nazionale irlandese e i kosovari del Prishtina. Il “problema” sarebbe la quantità di virus: nei test Uefa la soglia è molto bassa, partendo dall’idea che è “meglio fermare un sospetto positivo che lasciare andare uno che potrebbe esserlo”. Il problema è che cariche virali molto basse potrebbero essere la spia di un falso positivo. E, molto spesso, il tempo per eseguire un altro test di conferma non c’è.

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