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Avagliano: “Non solo lo Scudetto: alla Lazio era una festa continua”

La Curva Nord
Le parole dell'ex biancoceleste, che ricoprì il ruolo di terzo portiere nella storica Lazio che vinse lo Scudetto nella stagione 1973/1974
Edoardo Pettinelli Redattore 

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Intervenuto nel corso di una lunga intervista concessa ai microfoni de Il CentroGiuseppe Avagliano è tornato a parlare di Lazio e della gloriosa squadra della stagione 1073/1974 che vinse il primo Scudetto biancoceleste, nella quale fu terzo portiere. Queste le sue parole: "Andai in prestito anche a Modena, Ragusa, Marsala e Savoia, sempre in C. A 30 anni decisi di avvicinarmi a casa, in Abruzzo, e arrivai a Sulmona, con Guido Colangelo. Poi due anni a Penne in Interregionale e le ultime stagioni a Loreto, chiudendo con una promozione alla fine degli anni ’80".

Con la Lazio visse gli anni del primo Scudetto: "Era una festa continua, un piacere stare insieme a quei ragazzi.  Non solo per lo scudetto: ho vissuto tre annate fantastiche. Quel gruppo era fortissimo: prima del titolo era arrivato secondo e terzo. Eravamo una big della serie A. Poi sono accadute tragedie in serie, non si è capito più nulla". Tutto iniziò dopo un Torneo di Viareggio: "Fui eletto miglior portiere. Giocammo contro Hajduk Spalato, Sparta Praga, squadre inglesi, spagnole e francesi. Quel premio fu una bella soddisfazione. E anche a Como fu bello vincere la B, pur non giocando".

Con la Lazio cambiò tutto: "Era tutto diverso: c’era più contatto umano, sincerità, spontaneità, più naturalezza. Non parlo solo del calcio, era una vita diversa. Andavamo in ritiro prepartita al cinema, passavamo le vigilie in hotel a giocare a biliardino, a biliardo o a carte. Altro che cuffie e social... La squadra era una famiglia. Presidente e allenatore erano lì con noi, si scherzava e c’era piacere di stare insieme. Quel calcio era gioia. Le partite ufficiali le giocava il titolare, salvo straordinari. Fare il secondo era un privilegio, dovevi essere una garanzia. Oggi, se sei un dodicesimo, vieni chiamato in causa più spesso, tra Coppe e scelte tecniche. Prima entravi solo c’era davvero bisogno.

Eri di proprietà della società, che decideva dove andavi a giocare. I contratti li facevi tu: seduto davanti al presidente o al ds, discutevi e firmavi. Non esisteva il procuratore. Né il mercato libero e sempre aperto. I giovani? Pensate che Chinaglia, ragazzo eccezionale che aveva a cuore la squadra, essendo l’uomo più carismatico, faceva battaglie feroci per far prendere i premi a tutti noi ragazzi arrivati dalle giovanili. I primi tempi ci toccavano le briciole, ma lui riuscì con la sua forza a farci prendere gli stessi premi che prendevano i titolari. E lo fece mettere per iscritto. Era il capitano d una squadra fortissima".

Il giovedì la solita partitina, gli undici guidati da Chinaglia contro quelli guidati da Wilson: "Io ero nella squadra di Chinaglia, mi volle lui in quel gruppo. Io ero il pupillo del presidente Umberto Lenzini e Chinaglia era il figlioccio di Maestrelli. Per questo mi voleva sempre vicino a lui. Mi voleva bene. Dopo la Lazio? Premetto: sono soddisfatto, anche se forse ho avuto meno di quello che meritavo. Ma molto di più rispetto ad altri ragazzi della mia generazione. Poteva andare diversamente? Sì, tutto è cambiato con la morte di Maestrelli. Con lui avrei iniziato a giocare, ma il mister si ammalò e arrivò Corsini, che preferì un altro portiere. Fui costretto a cambiare squadra".

Poi il ritorno in Abruzzo: "Mia suocera era originaria del mio paese, Capitello: lì ho conosciuto la mia futura moglie, durante le vacanze estive. Dopo le nozze abbiamo deciso di restare a Loreto e ho fatto una scelta anche calcistica: restare in Abruzzo. Dico sempre di rispettare loro stessi e gli avversari. Bisogna insegnare il calcio: io mi sono sempre dedicato a questo. Ho allenato anche portieri molto bravi - per merito loro, sottolineo - nelle rispettive categorie. Da Francavillese a Di Quinzio, da Palena a Cantagallo, Di Norscia, Di Matteo e tanti altri. Ho visto giocare Rivera, Boninsegna, Mazzola... dal ’73 all’80 ho visto muoversi in campo i più grandi fuoriclasse del calcio italiano".