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Ciak, si gioca: Lazio&Cinema – Baroni come Beane, quando la rinascita parte dalle idee

Marco Baroni
La nuova rubrica di Cittaceleste con cui rivivere i momenti chiave della scorsa stagione della Lazio e analizzarli in ottica cinematografica
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Di Lorenzo Bozzetti

Spesso la vita ci mette a dura prova, ponendo sul nostro cammino ostacoli che, in prima battuta, sembrerebbero montagne invalicabili, non solo difficili da scalare ma capaci di compromettere il raggiungimento dei nostri obiettivi. Si tratta, in realtà, di intralci che però devono essere superati seppure con sacrificio e forza di volontà, con la voglia di mettersi in gioco. Ostacoli dunque valicabili solamente sfruttando al massimo le qualità che ciascuno di noi possiede. Realtà di questo tipo valgono in tutti gli ambiti della nostra quotidianità, anche in quello sportivo, compreso quello calcistico, e trovano spazio addirittura nella recente storia della Lazio. Precisamente la storia che ha caratterizzato l’anno appena trascorso.

Infatti, all’inizio della scorsa stagione, estate 2024, la Lazio rappresentava una squadra con più incognite che certezze. Una rosa profondamente scossa e turbata da vari fattori che hanno minato la stagione ‘23-‘24: partendo dalle dimissioni-shock di Maurizio Sarri, alle accese tensioni palpabili all’interno dello spogliatoio, per poi arrivare all’improvvisa separazione da Igor Tudor. Elementi che hanno profondamente segnato l’animo della tifoseria biancoceleste, assolutamente delusa da quanto visto sul rettangolo verde di gioco, e che non lasciavano presagire nulla di buono: un futuro incerto, se non addirittura cupo.

Un’estate bollente, dunque, resa ancor più turbolenta dalla protesta di migliaia di tifosi scesi in piazza per contestare la gestione del presidente Claudio Lotito, colpevole –secondo la tifoseria- di un’opera di ridimensionamento a tutti i livelli, e che lentamente stava assolutamente minando il piano delle ambizioni e delle risorse tecniche della rosa biancoceleste. Tutto ciò accompagnato da un calciomercato al ribasso, caratterizzato in primis dalla cessione da parte della società biancoceleste dei propri big, tra cui Immobile e Luis Alberto, e che soprattutto vedeva ristrutturare la propria squadra puntando su profili dal basso costo piuttosto che da giocatori di spessore con cui poter rilanciare le proprie aspirazioni.

Lo stesso ridimensionamento che, agli occhi dei tifosi, si era verificato anche sulla panchina biancoceleste. In effetti, dopo aver gestito i delicati divorzi da Sarri e Tudor, il club biancoceleste ha deciso di affidare la propria panchina a Marco Baroni, ritenuto dalla dirigenza in possesso di un profilo adatto alla ripartenza e alla contestuale inaugurazione del nuovo ciclo. La scelta del presidente Lotito, chiaramente, non incontrava il favore della tifoseria biancoceleste. I tifosi, infatti, aspettavano un nome altisonante, un allenatore d’esperienza e di calibro con il quale poter nuovamente dare vita al progetto tecnico; ma un progetto, però, fatto di certezze, piuttosto che di scommesse.

L’arrivo di Baroni alla Capitale è accompagnato da un clima di scetticismo, non incontra il favore della platea biancoceleste. Nei suoi confronti, infatti, si nutre un sentimento di perplessità, quasi di incomprensione, perché nella sua carriera –seppur modesta- l’allenatore non rappresentava la ripartenza per la tifoseria, ma semplicemente l’adattamento a dei criteri, a dei progetti al ribasso –come detto in precedenza- del presidente Lotito. Un traghettatore: ecco, Baroni viene considerato dalla tifoseria un traghettatore piuttosto che come un costruttore di idee, di novità, di una squadra che possa affrontare non solo il campionato, ma anche una realtà europea. Secondo la tifoseria biancoceleste, quindi, Baroni non è una pietra su cui ricostruire le fondamenta della società.

Eppure, proprio a partire da questa partenza in sordina si potrebbe individuare un parallelismo coerente con la trama del film intitolato "L’Arte di Vincere".

 

Lazio come Oakland Athletics: quando nessuno crede in te

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Pellicola del 2011 diretta da Bennett Miller, "L’Arte di Vincere" narra delle vicende del general manager degli Oakland Athletics, Billy Beane (interpretato da un magistrale Brad Pitt), costretto ad affrontare una sfida che si potrebbe paragonare a quella vissuta dal mister Baroni al suo arrivo nella Capitale: ricostruire una squadra disponendo di risorse economiche limitate, con i big della propria rosa in punto di partenza e una piazza completamente scettica nei propri confronti.

Vincolato quindi dalla necessità di ristrutturare, a partire dalle fondamenta, Beane ricorre all’analisi statistica per scoprire giocatori sottovalutati, mediaticamente poco d’effetto ma, al contempo, più che funzionali. All’inizio della sua avventura sulla panchina biancoceleste, mister Baroni si è reso protagonista di una storia simile; ha ereditato una Lazio disfatta, un gruppo di calciatori scoraggiato a causa degli ultimi risultati tutto accompagnato da una rosa che dava la sensazione di non seguire l’ambizione propria dell’allenatore quella cioè di voler competere per traguardi importanti. Mister Baroni, dunque, con l’intento di dar vita a un nuovo ciclo, ha intrapreso una strategia – per alcuni versi anche comunicativa- accomunata per molti punti a quella seguita da Beane: uno fra tutti, investire su giocatori funzionali, evitando di inseguire nomi particolarmente altisonanti.

 

Una squadra sulle ali dell’entusiasmo

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Idee, quelle di mister Baroni, che si ben presto si sono tramutate in fatti sul rettangolo verde di gioco. Fin dalle prime giornate della scorsa stagione, è stato infatti possibile ammirare una Lazio capace di entusiasmare la propria tifoseria, sia per il tipo di gioco espresso, fatto di divertimento, dinamicità e coinvolgimento sul piano emotivo, che per l’impegno profuso dai giocatori in campo. Impegno che già dai primi mesi della gestione Baroni è stato premiato, sia in ambito italiano che in quello europeo. In effetti, nelle prime quindici giornate di campionato di Serie A la Lazio è stata capace di rendersi protagonista di un cammino decisamente positivo rispetto ai pronostici iniziali piuttosto scettici: 31 punti fatti fino alla 15esima giornata, quinto posto in classifica, con trenta gol segnati e diciassette subiti.

Numeri che pongono la squadra di Baroni fra le principali sorprese dell’inizio dello scorso campionato, con un rendimento superiore perfino a quello di società che hanno investito in sede di calciomercato una ben più elevata quantità di risorse economiche con l’obiettivo di costruire e/o rafforzare la propria squadra (vedi ad esempio Juventus, Bologna, Milan e Roma: tutte dietro la Lazio nella classifica di quel momento). Un entusiasmo travolgente che si è potuto respirare allo stesso anche in campo europeo. I primi mesi del nuovo formato di Europa League sono stati infatti caratterizzati da un percorso straordinario intrapreso dagli uomini capitanati dall’ex Verona e Lecce.

Dopo cinque giornate, i capitolini dominano la classifica del macro girone, con 13 punti guadagnati dopo cinque giornate, e una differenza reti che sugella un positivo +9. Un inizio di stagione quindi che ha permesso alla Lazio di stupire e sorprendere positivamente chiunque, proprio come gli Oakland Athletics, quando riuscirono ad ottenere 20 vittorie consecutive contro ogni tipo di pronostico. Nei primi mesi della sua esperienza alla Lazio, dunque, mister Baroni ha saputo creare un gruppo di lavoro solido, compatto e voglioso con l’unico intento di smentire le più funeste delle previsioni –tutt’altro che ottimistiche- ipotizzate dai tifosi biancocelesti ad inizio stagione.

Come Beane e il suo assistente Peter Brand (ispirato a Paul DePodesta, e nel film interpretato da uno straordinario Jonah Hill), Baroni ha guardato oltre il nome, puntando quindi sul sacrificio collettivo affiancato dall’obiettivo di coinvolgere emotivamente la propria tifoseria. Nella sua rosa, dunque, non c’erano stelle da copertina ma, come negli Oakland Athletics del film, soltanto giocatori determinati e impegnati a dare una svolta alle proprie carriere, mossi dall’ambizione di rilanciarsi con fame e grinta.

Baroni non avrà utilizzato i computer di Peter Brand, ma il suo modo di concepire il calcio è stato radicale allo stesso modo: non conta chi sei, importa cosa fai e quanto riesci a renderti utile alla squadra. Così, in una Lazio orfana dei suoi riferimenti storici, da Immobile a Luis Alberto, fino ad arrivare a Felipe Anderson, sono emersi nuovi protagonisti, silenziosi ma ambiziosi. Due storie apparentemente lontane – una nel cuore del baseball americano, l’altra presente nel calcio italiano – collegate però da un evidente fil rouge: una rivoluzione concettuale, una rinascita resa possibile solo attraverso le idee nuove e la fiducia in quei giocatori underdog.