- Calciomercato
- Squadra
- Lazio Primavera
- Lazio Women
- Coppe Europee
- Coppa Italia
- Video
- Redazione
news
Vai nel canale Telegram di Cittaceleste >
Di Lorenzo Bozzetti
A volte è possibile riscontrare un vero e proprio fil rouge capace di unire e tenere collegati calcio e cinema, ed è in particolare quello dei sogni: sogni che nascono, crescono, che fanno credere nell’impossibile ma che, proprio sul più bello, si frantumano in un epilogo tragico. Seppur apparentemente mondi distanti, calcio e cinema possiedono entrambi -da questo punto di vista- proprio la capacità di farci sognare. Entrambi ci forniscono la possibilità di costruire delle illusioni, ci portano a credere che l’impossibile sia a portata di mano e ci trascinano in una dimensione sospesa, dove il confine tra realtà e desiderio si fa a volte labile. Ma, come spesso accade, i sogni finiscono, e non sempre sono caratterizzati da un happy ending. È in quel momento che un tifoso ed uno spettatore si ritrovano accomunati dallo stesso sentimento, vale a dire l’amarezza di un finale tragico che segna per sempre il proprio animo. Discorsi di questa natura trovano piena conferma in una delle delusioni più amare vissute dalla Lazio di Baroni nella scorsa stagione, vale a dire l'eliminazione dall'Europa League contro il Bodo/Glimt. Una partita che sembrava scritta per diventare leggenda ma che, invece, si è trasformata in una ferita rimasta ancora aperta nel cuore dei tifosi biancocelesti. Una dinamica che, da questo punto di vista, richiama da vicino la trama di uno dei film più enigmatici e struggenti del cinema contemporaneo, ovvero "Mulholland Drive" di David Lynch. Scopriamo e vediamo da vicino questo parallelismo, in senso metaforico, tra la delusione europea dei biancocelesti e il film del regista e sceneggiatore statunitense.
Pellicola del 2001 diretta da David Lynch, "Mulholland Drive" è un viaggio ipnotico tra sogno e incubo, in cui Hollywood si rivela non solo città dei desideri, ma anche teatro di ossessioni e fallimenti. La storia inizia con l’arrivo a Los Angeles di Betty Elms (interpretata da Naomi Watts), un’aspirante attrice proveniente dal Canada, piena di un entusiasmo a dir poco contagioso e di un candore quasi irreale. Hollywood, in questo scenario, si presenta ai suoi occhi come la "città dei sogni", un luogo dove talento e purezza sembrano essere destinati a primeggiare rispetto al resto delle cose. Il percorso che scandisce l’inizio della storia della protagonista assume i tratti di una vera e propria "favola": Betty incontra per caso Rita (interpretata da Laura Harring), una misteriosa donna colpita da amnesia dopo esser stata al centro di un incidente. Di fronte a tale situazione, Betty decide di aiutare la donna incontrata a scoprire la sua identità. La loro indagine sarà pregna di suspense e segnali enigmatici, elementi che danno vita ad un’atmosfera che nel film assume i tratti tipici dei classici noir hollywoodiani, dove indizi e minacce emergono e vengono fuori in forma graduale.
Nella prima parte, dunque, il film viene percepito come una sorta di esplorazione del desiderio, dell’ottimismo e della possibilità di reinvenzione: Betty proietta sulle vicende un’immagine idealizzata di sé, un mondo in cui ogni enigma e ogni interrogativo sembrano superabili e in cui ogni cosa si sviluppa secondo quella logica ipnotica e seducente del sogno. Ma a un certo punto questa utopia si frantuma, con la narrazione subisce infatti un vero e proprio ribaltamento di fronte, dove i ruoli cambiano, e ciò che poteva essere considerata come una favola si rivela essere in realtà la fantasia di Diane Selwyn, l’identità reale della protagonista della storia. La realtà, da questo punto di vista, dice infatti ben altro della protagonista della pellicola: Diane è infatti un’attrice frustrata, colpita da una profonda delusione, dall’umiliazione e da una tormentata relazione con Camilla (la vera identità di Rita).
Il sogno luminoso cede quindi il proprio posto a una realtà cupa, nella quale predominano elementi quali gelosia, risentimento e senso di colpa. Il finale del film, in tal senso, si chiude con un’immagine caratterizzata dalla tragedia e dallo sconforto, un binomio che permette a Lynch di offrire la visione che lui stesso nutre nei confronti di Hollywood, concepita come una macchina di illusioni capace di alimentare ardenti desideri, ma al tempo stesso in grado di distruggere chi non riesce a sostenerne il peso.
Lo scorso 17 aprile la Lazio di mister Baroni era chiamata ad un’importante impresa nel proprio palcoscenico internazionale, vale a dire ribaltare il pesante 2-0 incassato nell’andata dei quarti di finale di Europa League contro il Bodo/Glimt. Un’impresa che all’inizio sembrava impossibile, per via del pesante passivo accusato in Norvegia, ma che nell’ambiente biancoceleste, tra tifosi e squadra, assumeva il sapore di una sfida che doveva essere vinta a tutti i costi. Per una notte, dunque, lo stadio Olimpico si trasformò in un palcoscenico dove anche i sogni più irraggiungibili potevano avverarsi. Un’atmosfera, dunque, intrisa della magia che soltanto le grandi notti europee possono regalare. Una magia che si è trasferita sul rettangolo verde di gioco a partire dai primi minuti della gara: al 21’, infatti, Castellanos grazie al suo colpo di tacco rompe il ghiaccio del ritorno dei quarti di finale, con una prodezza capace di riaccendere i sogni di gloria e di speranza della tifoseria biancoceleste. I minuti scorrono velocemente, si fanno sempre più carichi di tensione fino al 93’, minuto nel quale Noslin riesce a portare la partita ai supplementari, rimettendo quindi in discussione la qualificazione.
Una rete, quella dell’olandese, capace di far esplodere di gioia l’intero stadio Olimpico e di alimentare i sogni dell’intera tifoseria di agguantare la tanto agognata semifinale di Europa League. E poi arriva la favola: nei supplementari, quando al 100esimo minuto Dia con un colpo di testa arrivato dopo un cross di Guendouzi sigla il gol valido per il 3-0. È l’apoteosi. I biancocelesti sono a un passo dalla semifinale, un traguardo dal sapore quasi leggendario. Tuttavia, proprio come in "Mulholland Drive", dove la protagonista Betty rappresenta l’incarnazione di un ideale radioso che in realtà non esiste, la Lazio di Baroni vive l’inganno più crudele. Helmersen, al 109’, segna di testa il gol valido per il 3-1 che gela lo stadio Olimpico e riporta nuovamente in discussione la qualificazione. È il momento in cui il sogno dei biancocelesti comincia a incrinarsi, proprio come l’immagine patinata che nasconde la dura verità nel film di Lynch. Un sogno, però, che si è sgretolato definitivamente ai calci di rigore, dove gli errori dal dischetto di Tchaouna, Noslin e Castellanos hanno consegnato definitivamente la semifinale al Bodo/Glimt, che entra nella storia come la prima squadra norvegese a raggiungere quel traguardo.
È il crollo dell’intero ambiente biancoceleste, il punto in cui la speranza diventa disillusione, come accade a Diane in "Mulholland Drive", costretta a confrontarsi con la realtà dopo il sogno idealizzato. La Lazio di mister Baroni, da una parte, e il film "Mulholland Drive" di Lynch, in tal senso, seppur adottando linguaggi e strumenti diversi, raccontano lo stesso messaggio di fondo, lo stesso tema universale: vale a dire il finale tragico di un sogno. In "Mulholland Drive" l’illusione di una vita ideale cede sotto il peso della dura realtà; all’Olimpico, invece, nella sera di quel 17 aprile, la Lazio tocca con mano la semifinale di Europa League, per poi vederla sfumare definitivamente dagli undici metri.
Entrambi i racconti, da questo punto di vista, lasciano lo spettatore e il tifoso con lo stesso amaro in bocca: la consapevolezza che i sogni, per quanto intensi e abbaglianti, possono dissolversi nel modo più crudele, trasformandosi in incubi che restano impressi nella propria memoria. La parabola europea biancoceleste, in tal senso, ricorda dunque da vicino quella del film di Lynch: un sogno costruito, alimentato, reso credibile partita dopo partita, ma che, purtroppo, è crollato sul più bello, lasciando dunque spazio alla disillusione. All’Olimpico come a Hollywood, dunque, il messaggio è lo stesso: i sogni possono accendere la speranza, ma a volte finiscono in tragedia. Ed è proprio quel finale amaro a restare inciso per sempre nella memoria collettiva del popolo biancoceleste.
© RIPRODUZIONE RISERVATA