cittaceleste news Couto: “Alla Lazio gruppo straordinario, ecco perché sono rimasto. E Ronaldo…“

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Couto: “Alla Lazio gruppo straordinario, ecco perché sono rimasto. E Ronaldo…“

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Tutte le parole dell'ex difensore biancoceleste sugli anni vissuti nella Capitale e sulla decisione di rimanere anche a inizio era Lotito
Stefania Palminteri Redattore 

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Ai microfoni dei canali ufficiali del club biancoceleste è intervenuto Fernando Couto. Queste le parole dell’ex calciatore della Lazio. “Non avrei mai immaginato di giocare così tanto con la Lazio. Mi sono divertito tantissimo, l’ho fatto con tutto il cuore e l’anima. Sono stati anni bellissimi, abbiamo vinto qualcosa di importante e sono contento di aver fatto parte un po’ della storia della Lazio. Momenti iconici? Lo scudetto è il più importante, anche per il modo in cui abbiamo vinto. L’anno prima abbiamo perso in modo un po’ così, poi la vittoria l’anno successivo in quel modo. Ogni trofeo però è importante, mi piace vincere e l’ho fatto in ogni squadra in cui ho giocato. Ma qui ho vissuto momenti buoni, importanti e intensi.

Per vincere devi pensare a ogni situazione vissuta, a tutte le difficoltà superate. Devi sempre avere la volontà di arrivare più in alto possibile, poi con il successo arriva il momento di gioire, di godere della situazione. Fa parte di un ciclo che parte da lontano. De la Pena? Io sono arrivato con lui, ha fatto cose bellissime al Barcellona. Forse era nel suo habitat ed è riuscito a esprimersi meglio in un calcio diverso da quello italiano. In Italia l’adattamento e il modo di lavorare gli hanno creato difficoltà, ho vissuto con lui quel periodo: io mi sono adattato, lui ha fatto fatica. Ma in quel periodo possiamo ricordare anche Mendieta, che qui ha avuto tante difficoltà. In Italia il calcio era più fisico e chi aveva più tecnica faceva più fatica.

Quando sono arrivato avevo più esperienza, avevo più tranquillità rispetto a Ivan anche grazie all’esperienza a Parma. Abbiamo subito vinto la Supercoppa, ricordo il gol di Conceicao e la vittoria meritata. È stato il click della stagione. Ho giocato in diversi ruoli: era un segno di fiducia da parte del mister, ma era anche una questione di gestione del gruppo. Il livello era talmente alto che Sven poteva gestire bene questa situazione. C’era anche il problema delle nazionali, tutti andavamo via e provavamo quindi a gestirci e arrivare nel miglior modo possibile.

Il nostro era un gruppo di grande personalità, con tre capitani come Nesta, Favalli e Marchegiani. Ma tutti avevano talmente tanta personalità che ognuno dava qualcosa. Ognuno era a suo modo capitano. Era una squadra forte, che si rispettava molto e si allenava in modo molto intenso. Credo fosse il segreto della squadra, il carattere molto importante in ogni ambito. Ognuno riusciva a dare qualcosa di diverso alla squadra e al gruppo.

Il livello della Serie A era molto alto: Juve, Milan, tante squadre importanti che si battevano con noi. Era un campionato molto equilibrato ed era bello e divertente anche per i tifosi, oltre che per noi che trovavamo avversari importanti. Era un campionato equilibrato e interessante. L’avversario più forte e il compagno più forte? Sicuramente Ronaldo. Ho vissuto con lui a Barcellona, l’ho visto allenarsi due-tre anni con me. Ho visto la sua forza, la sua capacità. Uno dei giorni peggiori alla Lazio è stato quando è rientrato dall’infortunio all’Olimpico e a due metri da me si è rotto di nuovo il ginocchio. Si è sentito il rumore, non sono riuscito ad avvicinarmi a lui ma ho sentito subito la gravità del problema. È stato un momento molto triste, dopo il suo infortunio la partita è finita anche se mancavano dieci minuti.

Il più forte alla Lazio? Non voglio essere ingiusto, era una squadra talmente forte… in mezzo al campo c’erano Almeyda, Veron, Nedved, Stankovic. C’era Sensini. Anche chi non giocava era importante, sarebbe ingiusto per un gruppo così forte menzionare un solo giocatore. Dovevamo farci trovare sempre pronti, il mister aveva questa gestione di cui ho parlato che ci costringeva a essere sempre tutti pronti. Ma mi ha fatto piacere sentire la fiducia dell’allenatore e dei compagni, era la nostra forza. Secondo me potevamo vincere qualcosa di più, ne abbiamo parlato tra noi. Ma comunque abbiamo fatto un bel percorso e ci siamo divertiti tanto.

La mia esultanza? È iniziata nel Porto, da piccolo lo facevo in partite importanti. Quando sono venuto in Italia è diventato quasi un obbligo, anche quando facevo fatica. Non facevo le prove, ho imparato da piccolo e sono andato avanti a farlo. Per fortuna segnavo poco (ride, ndr). Il gol contro l’Atalanta? Sono un disastro a ricordare le cose, ma ricordo il canto incessante dei tifosi. Ho sempre avuto un buon rapporto, mi piacevano molto perché era sempre molto partecipi con la squadra.

Sono sempre stato lo stesso in ogni spogliatoio, sono sempre stato un giocatore così: segnavo il mio spazio e provavo a portarmi dietro tutto il gruppo per arrivare più in alto possibile. L’ho fatto anche in nazionale, è una cosa che fa parte del mio modo di essere. Non mollare e provare ad arrivare più in alto possibile. Tante volte anche una bella litigata può essere positiva per arrivare a qualcosa di buono. È successo tante volte anche in allenamento. Non bisogna sempre litigare o andare a cena, è importante però essere presenti quando serve, anche nei momenti brutti. Sapere che posso contare sui miei compagni e loro su di me.

Perché sono rimasto? Ho avuto un paio di proposte dall’Inghilterra, avevo anche voglia di andare in un campionato che mi incuriosiva. Ma gli otto anni di Lazio vissuti in questo modo intenso mi hanno fatto rimanere anche in una Lazio completamente diversa da quella che vinceva lo scudetto. È stata responsabilità per quegli anni prima, per i tifosi, per la città e per tutto quanto”.