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L'ex Responsabile del Settore Giovanile della Lazio, Mauro Bianchessi, è stato intervistato dalla Gazzetta Regionale e, oltre alla sua esperienza come direttore sportivo del Monza, ha parlato di quella in biancoceleste. Di seguito le sue dichiarazioni:
Partiamo dalla sua esperienza più recente, quella al Monza: un bilancio di questa avventura?
"Ho accettato la proposta nel 2023 per due semplici motivi: avevo promesso a Galliani che appena sarei stato libero sarei ritornato a lavorare con lui. Poi il Monza era del presidente Berlusconi, che nel 2006 con Galliani e Braida mi vollero al Milan. Nella vita ritengo importante la riconoscenza. Purtroppo il Presidente ci ha lasciato e i suoi figli hanno venduto la Società molto in fretta, ma rifarei ancora la stessa scelta per rispetto verso di loro".
Come cambia il lavoro tra Responsabile di Settore Giovanile e Direttore Sportivo di prima squadra?
"Il settore giovanile è composto da almeno dieci squadre giovanili ed è un lavoro molto complesso, faticoso, con una gestione che spazia in tante competenze diverse. La direzione di una prima squadra è focalizzata totalmente su essa, in più ci sono ovviamente pressioni altamente superiori. Due mondi diversi ma per forza comunicanti tra loro. Al Monza, nel settore giovanile, in meno di due anni di lavoro abbiamo creato un parco giocatori importante, alcuni già oggi in prima squadra, parliamo di future ed importanti plusvalenze".
Perchè è finita con il Monza?
"Ho rivissuto la stessa situazione del Milan del 2017. La società viene venduta, quindi cambio di proprietà e di management. Giusto così, nel calcio è normale".
Cosa si aspetta dal suo futuro?
"Ho un contratto in essere col Monza fino al 2027, ad oggi ho avuto alcuni contatti con altri club ma preferisco prendermi un po’ di tempo per riflettere e ricaricarmi prima di ripartire a mille all’ora. Nel frattempo giro l’Italia e l’Europa per osservare giocatori giovani e ampliare i miei contatti".
Capitolo Lazio. Sotto la sua gestione il Settore Giovanile era tornato ad un livello che merita un club come quello biancoceleste. Qual è secondo lei la cosa su cui ha lavorato meglio?
"Alla Lazio sono stati sei anni intensi e bellissimi. All’inizio non c’era nulla, né organizzazione né squadre competitive, né strategia di lavoro ma soprattutto non vincevano mai un derby. Sei anni dopo ho lasciato tutte le squadre nei primi due posti, con 11 giocatori convocati in Nazionale, presi all’età di 12 anni e poi cresciuti. Non avendo a disposizione un portafoglio per il mercato li ho costruiti in casa. Con le vittorie nei derby avevamo superato la Roma. Prima di andarmene ho detto a Lotito di avere pazienza, ero certo che a breve diversi giocatori sarebbero arrivati in Serie A e B. Per ora, dopo due anni, mi sento di evidenziare il percorso di Floriani Mussolini, Valerio Crespi, Fabio Ruggeri, Jacopo Sardo e Alessandro Milani. E sono certo ne arriveranno anche altri. Alla Lazio ho lasciato una parte del mio cuore".
In assoluto, in termini di calciatori, qual è il "colpo" di cui va più fiero?
"Mi verrebbe da dire Donnarumma, ma è troppo facile. Il colpo migliore ce l’ho in canna, appena individuato, deve ancora venire. Io credo che alla fine il campo è il vero giudice sovrano, sempre e comunque. Il giudizio del campo si porta via ogni discorso".
Apriamo gli orizzonti... In Italia c'è o non c'è talento?
"In Italia c’è stato, c’è e ci sarà sempre il talento, lo dice la storia del calcio. Purtroppo in questo sport c’è tanta politica e troppi raccomandati. I politici calcistici, dalle loro poltrone, fanno gli interessi di corrente, i raccomandati, quasi sempre ex calciatori idoli dei tifosi, vengono messi in ruoli importanti per essere solo di facciata. Essere stato un grande calciatore non vuol dire essere un bravo dirigente. Io credo e difendo il merito".
Secondo lei andremo al Mondiale?
"È già assurdo che per due volte non ci siamo qualificati. La terza volta ci giocheremo tutto agli spareggi. Questa è la realtà del calcio italiano. Ci sarebbe bisogno di un cambiamento profondo dei campionati maggiori e delle regole di tutela dei settori giovanili, ma ad oggi prevalgono gli interessi di parte".
Quando parla di profondi cambiamenti, a cosa fa riferimento?
"Ogni anno falliscono squadre in Serie C e ora anche in B. Società con molti debiti. Ci sono club in Serie A con fatturati vicino al mezzo miliardo che competono con altri che fatturano 50 milioni di euro. Sarebbe opportuno diminuire il numero delle squadre per alzare il livello di competitività nei vari campionati. Oggi vale la pena investire nei settori giovanili se non esiste più il vincolo? In Primavera 1 molti direttori vanno all’estero a prendere calciatori anche modesti per completare le squadre, perchè? Basterebbe inserire nei vari campionati professionisti una regola di tutela e valorizzazione dei nostri giovani, oppure inserire in prima squadra l'obbligo di un'Under 23 in campo che abbia fatto almeno 8 anni nel proprio settore giovanile. Questi sono solo alcuni spunti di riflessione...".
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