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Alessandro Calori, difensore del Perugia al tempo del secondo scudetto della Lazio, ha rilasciato un'intervista tra le colonne del Corriere dello Sport, ripercorrendo quell'ultima giornata di campionato: il nubifragio al Curi, il gol alla Juventus e il titolo vinto dai biancocelesti di Eriksson. Ecco le sue parole.
"Sono stato premiato e partecipai alla festa “Di Padre in Figlio” organizzata all’Olimpico. L’affetto dimostrato dai laziali in tutti questi anni mi ha colpito e mi fa piacere. Faccio l’allenatore, nutro una simpatia naturale per la Lazio, ho lavorato anche con la Primavera. Certo il calcio è così: vengo ricordato per il gol alla Juventus. Sembra di rimanere in una nicchia, un po’ come l’urlo di Tardelli al Bernabeu.
Penso che la mia rete abbia segnato un’epoca e avuto un significato più ampio. Una roba incredibile. In dieci minuti cadde l’acqua che non viene giù neppure in un mese. La partita riprese dopo un’ora e un quarto di stop. Anche il sottopassaggio era zuppo d’acqua. Ricordo Collina al telefono, avrà chiesto come comportarsi ai vertici arbitrali.
Di sicuro non rimase solo a decidere. Noi giocatori non sapevamo cosa fare. Passeggiavamo tra spogliatoio e palestra in attesa di un segnale. Olive e Conte, i due capitani, uscirono tre o quattro volte a controllare. Il campo del Curi drenava benissimo, altrimenti non sarebbe stato possibile riprendere.
La Juventus rimase condizionata dal nubifragio. Il primo tempo si era chiuso sullo 0-0. Le parate di Mazzantini, Pippo Inzaghi fallì un paio di occasioni. Avevano fretta di segnare, si fecero prendere dall’ansia e dopo il mio gol rimasero in dieci per l’espulsione di Zambrotta.
Cross da sinistra di Rapajc. Saltai di testa. Respinta di Antonio Conte. Stoppai di petto e calciai di esterno collo destro. Precisiamo per ristabilire una verità storica: segnavo spesso come difensore centrale, 5 gol solo in quel campionato. Non sono pochi. Segnai anche al Parma di Buffon, non solo alla Juve.
Eravamo salvi, ma quel successo ci permise di qualificarci per l’Intertoto. Gaucci venne a trovarci nello spogliatoi e ci avvertì. “Mi raccomando, ci guarda tutto il mondo”. Poi andò dai giornalisti e disse: “Se sbagliano partita, li porto in Cina”. In ogni caso, la differenza con la Juve era enorme. Non erano al top, ma ricordo i nomi. Zidane, Del Piero, Davids, Conte, Ferrara. Devo continuare?.
Con il suo tipico modo di parlare disse: “Ce voleva un romanista per far vincere lo scudetto alla Lazio” e scoppiò in una risata. Ma il mister era sempre sul pezzo, non aveva bisogno di ricordarci che partita sarebbe stata. Poco, perché oltre alla festa dei laziali si aggiunse l’altra metà del Paese, anti-juventina. Mio cognato veniva con mia moglie a vedere le partite. Prima che andassi a fare le interviste, mi disse: “Questo gol rimarrà nella storia, vedrai”. Aveva ragione."
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