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Lazio, Gottardi: “Eriksson? Forse il migliore che ho avuto. Il compagno più forte…”
In una lunga intervista rilasciata ai taccuini de La Gazzetta dello Sport, Guerino Gottardi ha voluto ripercorrere le varie tappe che hanno caratterizzato la sua carriera da calciatore -compresi i suoi anni alla Lazio- e svelare cosa fa oggi, dopo la fine della sua carriera da calciatore. Di seguito l'intervista completa:
"A Berna andò prima mia mamma, che curava la casa di un notaio, poi papà che ha cambiato tanti mestieri di tutto: prima ha lavorato nelle risaie, poi ha fatto il camionista, quindi il portinaio".
E lei si è dato al calcio... Partendo dallo Young Boys.
"Correvo, correvo. Si iscrissero i miei amici, dissi "vengo anch'io". È cominciata così. Diplomato giardiniere paesaggista, lavoravo fino alle 13 come giardiniere e alle 16 andavo ad allenarmi. I miei genitori mi hanno insegnato che una base devi averla. Sono ancora legato allo Young Boys, meno al Neuchatel che mi comprò perché non c'è più quel presidente".
Poi, dopo un provino alla Juve, arrivò la Lazio. E col club romano ha vinto tanto.
"Tutto quel che si poteva tranne la Champions. Giocavo più in coppa, non ho mai capito il perché. Era diventata quasi una barzelletta e allora dicevo che giocavo solo quando contava".
Ha avuto Zeman, Zoff, Eriksson. Tre grandi.
"Tutti e tre. Quante battute mi faceva Zeman se la sera uscivo. Ci pesavano il giorno dopo. E lui "Ma che ti sei mangiato le pietre, ieri sera?". Sulla fase offensiva era bravissimo, su quella difensiva meno perché difendevamo a metà campo e lasciavamo troppo campo agli avversari".
Con Eriksson ha vinto tanto.
"Forse il migliore che ho avuto. Intelligente, parlava poco, ma ti capiva e ti faceva vivere".
E non era uno spogliatoio facile.
"Tante personalità forti. Si litigava dentro, ma in campo spariva tutto. Argentini, brasiliani, slavi, italiani. Il più tosto era Alen Boksic; quando aveva la luna storta non era semplice. L’ho rivisto un paio d’anni fa, abbiamo fatto una serata con Beppe Favalli e Paolo Negro che sento sempre e ci siamo divertiti. Per fortuna era in buona...".
Lei era un tranquillo e si adattava. E quando entrava lasciava il segno.
"Una squadra di fenomeni, anzi due squadre in una. Il mio gol più bello? In finale di Coppa Italia col Milan nel 1998. Fu complicata perché all'andata perdemmo 1-0 e al ritorno loro andarono in vantaggio. Entrai nel secondo tempo e girò la partita. Segnai. E giocammo una ripresa mostruosa, prendendoci la cорра".
La utilizzavano in più ruoli. Ma lei che giocatore si sentiva in realtà?
"Un centrocampista, una mezzala. Io amavo giocare lì. Ma correvo, ero veloce ed esplosivo e già in Svizzera mi schieravano sulla corsia. Sinistra o destra. Zeman mi chiedeva di coprire tutta la fascia. Ho giocato terzino e punta. Non ero un fenomeno, i miei compagni sì. Era una Lazio fortissima".
Il compagno più forte?
"Vi stupirò: Jugovic. Mai visto uno che con i tacchetti a sei compiva gesti tecnici di quel genere, e sorridendo. Tanta qualità, difesa, attacco. Non era bello da vedere, ma mi affascinava".
Lei con chi ha legato di più?
"Di Favalli e Negro le ho detto. Le serate erano con Winter e Di Matteo, due fratelli. Una sera ogni tanto perché giocavamo tre volte a settimana. L’amatriciana è sempre nel cuore".
Ha ancora casa a Roma?
"Certo. All’Olgiata e lamia nuova compagna vive a Roma. Ho una scuola calcio, la Soccer Academy Asa. Seguo meno, ma resto tifoso della Lazio".
Ha vissuto l’era di Sergio Cragnotti, oggi guida Claudio Lotito. Lo conosce?
"L’ho visto da poco per un evento celebrativo, ma non ho grandi contatti. E poi mi ha dovuto pagare per tre anni, perché io avevo firmato il piano Baraldi. Quei soldi me li ha dovuti dare lui. Cragnotti è stato il mio presidente. Una squadra del genere l’ha fatta lui e gli va dato atto".
Tra i calciatori attuali le piace qualcuno in particolare?
"Non uno in particolare, ma quelli che saltano l’uomo e creano superiorità. Spagnoli e portoghesi lo fanno meglio di altri".
Si dedica più all’immobiliare, ma solo in Svizzera. Perché?
"Perché in Italia non sei tutelato dallo Stato, in Svizzera sì. Se uno non ti paga l’affitto dopo tre mesi puoi mandarlo via, a Roma ci misi tre anni. Acquisto immobili, vendo e affitto. Ho seguito l’esempio dei miei genitori. Non ho sperperato, con quel che guadagnavo compravo case. Questo non è un bel momento".
Tanta Svizzera e mai in Nazionale. Come mai?
"Una lunga storia, burocratica. A 19 anni rifiutai la nazionalità. Sarei entrato in Italia da straniero. A 25-26 anni la Svizzera mi propose di entrare. Io avevo tutto in Italia, fossi stato sposato con una svizzera sarebbe stato semplice, ma mi ero separato. Quando feci la proposta me la bocciarono. Niente passaporto. Ora sono residente in Svizzera, ho il permesso C, di domicilio, ma voto in Italia".
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