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Lazio, Hernanes: “Da Klose al mio ruolo, poi l’addio: ecco perché. Oggi…”
Lunga intervista di Hernanes ai microfoni dei canali ufficiali della Lega Serie A. Questo un estratto delle parole dell’ex calciatore della Lazio: “Quando mi sono sposato la prima volta ho cambiato il nome, poi mi sono separato e ora uso il nome di battesimo: Anderson Hernanes de Carvalho Andrade Lima. Il calcio si concentra più al sud, nel polo economico importante, San Paolo, Rio De Janeiro. In Brasile si gioca ovunque, ci sono squadre forti in tutti gli stati.
Il San Paolo? In quegli anni lì avevo preso il miglior San Paolo dopo quello storico che aveva vinto due mondiali con Barcellona e Milan. Poi c’è stato uno spazio in mezzo e quando c’erano io erano di nuovo gli anni erano i più belli del club. Il settore giovanile era il più forte in Brasile, aveva il centro di allenamento più eccellente del Brasile. Abbiamo vinto una Libertadores, un Mondiale per Club, scudetti: il club più forte in quel periodo lì.
L’arrivo alla Lazio è stato meraviglioso, mi spaventava una cosa in Europa: il freddo. Sono di Recife e lì noi abbiamo solo il caldo, solo una stagione. L’inverno pioveva solo, ma non sapevo cosa fosse il freddo. Arrivo ad agosto a Roma con 33 gradi, ho detto ‘mizzica mi sento a casa’. I tifosi già mi chiamavano ‘il profeta’, mi sono sentito subito a casa, mi ha aiutato molto ad esprimermi molto bene. Il campionato era già iniziato, è andato in scioltezza. Questo soprannome deriva dalle mie interviste che facevo in Brasile. Citavo proverbi, riflessioni della Bibbia. C’era un giornalista del telegiornale sportivo più importante e mi ha dato quel soprannome, poi tutti hanno ripreso quel soprannome.
A livello di soddisfazione mi è piaciuto più fare il trequartista, ero più vicino al gol, la mia caratteristica era giocare di istinto, finto, dribbling e tirare, destro e sinistro. Però per avere una visione più ampia a 360 gradi fare il regista basso mi ha cambiato la maniera di vedere calcio. Io sono nato destro, anche se sono molto curioso e studio molto e non ho trovato una letteratura scientifica per cui si nasce destro o sinistro. A 11 anni mi sono messo in testa che volevo essere un mancino, mi sono allenato mettendo da parte il destro: facevo tutto col mancino, ho acquisito l’abilità di dribblare e calciare così, come fosse naturale. Alla Lazio ho avuto un impatto bellissimo, avevo maturità, arrivo in una città che dal punto di vista delle similitudini con il Brasile ce ne sono. Poi la gente e il calore, l’ambiente e il clima mi hanno aiutato molto. Reja mi ha messo come seconda punta e risaltava ancora di più e mie caratteristiche.
Klose? Da lui ho imparato ad essere preciso fuori dal campo, lui arrivava sempre prima di tutti, io da brasiliano arrivavo quasi sempre in ritardo. Ho imparato quella mentalità ma ancora oggi faccio fatica con gli orari (ride, ndr). Dentro al campo la sua oggettività nella ricerca del gol, giocare di squadra e saper leggere i compagni. Da brasiliano che mi piaceva la finta e il dribbling, lui arrivò e mi disse: ‘se fai una finta in più perdo tempo per inserirmi e mi trovi fuori tempo’. Questo mi ha dato un senso di giocare di squadra e a fare meno solo il mio gioco istintivo. I compagni devono capire i movimenti.
La mia traiettoria sin dall’inizio è stata di adattarmi e trovare uno spazio in cui mi potessi trovare meglio. Fino a 14 anni giocavo a futsal, poi sono andato a giocare a calcio e il primo ruolo venuto era il trequartista ma c’era uno più bravo e per non stare in panchina mi sono messo come terzino sinistro. Il mio primo ruolo nel calcio a 11 è stato questo, mi sono sempre adattato. Da trequartista mi liberavo. Con la Lazio avevo un legame fortissimo, il cuore voleva rimanere ma la testa e i sogni volevano giocare e vincere altri trofei. È questo che mi ha fatto andare via, ma il cuore voleva rimanere.
All’Inter ho conosciuto Mancini, è stato molto bello, cercavo da imparare da tutti. Appena arrivato disse che facevamo il mestiere più bello al mondo, per questo chiese di lavorare con serietà ma non dimenticare di divertirsi. È stato prezioso, volevo sempre vincere, ma ci si dimenticava di prenderla con divertimento. Lui ha vinto con l’Italia, è stata una grande persona oltre che giocatore e allenatore. Le capriole? Da quando ero bambino mi allenavo a fare le capriole. Ero sempre con gli amici a fare salti, capriole. Nel futsal a 10 anni segnavo e facevo la capriola sul parquet. Ero più piccolo e già lo facevo: era una cosa naturale, ci sono cresciuto.
La scelta di fare il ristoratore? Nei tempi è l’opposto del calcio, è questo quello che mi ha fatto innamorare del vino. Il calcio nasce circa 120 anni fa, il vino esiste da quando l’uomo esiste sulla terra, diciamo così. Viene da una tradizione tramandata da generazione in generazione. Ho piantato altre due tipologie di uve, questo è il terzo anno ma dobbiamo ancora aspettare per fare il vino affinché la vite sia in grado di portare i frutti. Non lo trovo poi così diverso, il calcio è così, una pianta: ho iniziato a giocare a futsal, i primi frutti li ho visti a 16 anni, ma ne sono passati di anni prima di vedere davvero qualcosa. Nella vita ci sono molte similitudini, siamo sempre noi. I tempi nel calcio e nella vita vanno rispettate, nel calcio si vogliono affrettare i risultati ed è un’altra cosa. Quando fai questo nella vita e nel calcio sbagli delle cose.
La maglia del Brasile è la realizzazione del sogno di quasi tutti i bambini che nascono in Brasile e non solo. Una fantasia irreale, il sogno comincia nella testa a diventare realtà, la prima convocazione e vai in campo è indescrivibile. Ancelotti ct? Fino a due anni fa non volevo allenatori stranieri, ma vedendo il Brasile ho cambiato idea. Ancelotti non mi ha mai allenato ma vedendo come si comporta con la squadra e giocatori brasiliani che si sono esaltati con lui, la percezione è che lui sa fare, relazionarsi con giocatori brasiliani. Sarebbe un’ottima cosa. Mi piacerebbe”.
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