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Massimo Maestrelli: “Babbo Tommaso un uomo libero. Nella sua Lazio…”

Massimo Maestrelli
Ai microfoni de La Gazzetta dello Sport, Massimo Maestrelli ha parlato del babbo Tommaso, del suo rapporto con i giocatori e molto di più
Stefania Palminteri Redattore 

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Intervenutoi microfoni de La Gazzetta dello Sport, Massimo Maestrelli ha parlato del babbo Tommaso, del suo rapporto con i giocatori ai tempi della Lazio e non solo. Tanti i temi affrontati dal figlio del Maestro.

"Il percorso di mio padre è stato particolare. Ovunque sia andato è stato capace di lasciare il segno. Immaginate 5 mila persone che da Reggio Calabria partono per Lecco per la partita che può regalar loro la Serie A... Gara persa, ma i tifosi hanno continuato a volergli bene, così come è successo a Foggia. Tante cose di lui, come il fatto che abbia rischiato la vita in guerra, le ho scoperte cercando in cantina materiale per il documentario "Tommaso - Maestrelli e il calcio a colori" : non sapevo avesse avuto il compito di formare 360 soldati a 22 anni. Era un uomo di ideali. Quando dopo il Foggia venne cercato dalla Roma, che stava solidamente in A, e la Lazio, in Serie B, lui scelse la Lazio... Per lui il percorso più logico non era sempre quello giusto, era retrocesso in B e da lì voleva ripartire, le cose se le doveva guadagnare".

Oggi può esistere qualcuno che fa un ragionamento così?

"Forse Ranieri, altro uomo di ideali. Quando va a Leicester dopo il fallimento con la Grecia, deve aver visto qualcosa di diverso da una scommessa facile. E ha vinto. Anche quest'ultimo ritorno alla Roma dopo aver annunciato l'addio al calcio: non l'avrebbe per nessun'altra squadra. Sapete che lui e babbo si conoscevano bene? Nel '73, '74, quando giocava nella Roma come difensore, veniva a vedere le partite da noi: io e Maurizio ci lamentavamo, non volevamo un romanista in casa, ma babbo lo stimava, erano diventati amici".

La sensazione è che i tifosi delle sue squadre considerino suo padre un amico, uno verso cui essere grati.

"Io credo che babbo abbia fatto più da morto che da vivo, perché lasciare un segno così grande per 50 anni è qualcosa di troppo speciale. Ha vinto lo scudetto con la Lazio? Vero, ma ogni anno un tecnico vince, in pochi restano davvero nel cuore della gente come lui. È qualcosa di più grande".

Forse perché davvero hanno sempre prevalso gli ideali.

"Babbo si è sempre esposto. A Reggio fece dichiarazioni forti perché la città era divisa dalla battaglia tra due clan. Un giorno lo prelevarono e lo portarono in campagna a incontrare un superlatitante in una casetta abbandonata. Lo ringrazio perché le sue parole avevano riportato la pace".

Anche alla Lazio ha fatto subito capire chi fosse.

"A Roma girava con l'Alfa Romeo 1750, i giocatori lo prendevano in giro. Wilson aveva la Rolls Royce, D'Amico il Mercedes Pagoda, non le parcheggiavano vicino alla sua perché dicevano che prendevano il tetano. Non era legato alle cose materiali e lo dimostrava con i fatti. A D'Amico che era ragazzino tolse le chiavi della macchina e sospese lo stipendio per insegnargli a non alzare troppo la cresta".

I giocatori lo ascoltavano?

"Sempre. E volevano dimostrargli di essere migliori degli altri. Soprattutto alla Lazio erano in perenne conflitto e lui non li ha mai fermati. Diceva che nella libertà di espressione anche dei propri difetti scocca la scintilla, le forti personalità si devono scontrare per tirar fuori il meglio e il peggio di loro".

L'aggettivo che più lo rappresenta?

"Era libero. E aveva una predisposizione per i rapporti umani: se a Reggio Calabria arrivava un giocatore nuovo, lui alle dieci di sera andava a prenderlo in stazione, per tranquillizzarlo".

In tanti venivano a casa vostra.

"Chinaglia era sempre da noi. Avevano un rapporto bellissimo, faceva parte della famiglia. Per questo ho voluto riunirli, è stato complicatissimo, ma era necessario: ora sono sepolti insieme, a Prima Porta. Mi dà tanta serenità".

Alla Lazio teneva tantissimo.

"Babbo poteva morire durante la prima operazione, invece è rimasto in vita per salvare la squadra: la gara che ha deciso la permanenza in A, quella di Co-mo, è stata ancora più bella dello scudetto. Penso abbia dato la sua vita per salvare la Lazio".

Non ha vissuto la morte di Re Cecconi.

"Ed è una cosa di cui sono contento e grato. Sarebbe impazzito, si sarebbe fatto anche dei sensi di colpa. Come fai a spiegarti una cosa così?".

Ha messo a disposizione di Baroni la giacca di suo padre. Perché?

"Quando c'è stata la prima del documentario, alla Festa del Cinema di Roma, avevo portato la giacca di babbo sul palco. Ho visto Baroni in prima fila, era arrivato da poco e volevo fare qualcosa di carino per lui. Così ho detto che mi auguravo che per una partita importante la potesse utilizzare lui e si è sentito parte della famiglia. Non l'avevo mai offerta a nessuno, ma io sono molto istintivo".

Con gli altri allenatori della Lazio ha legato?

"In tutti ho cercato di vedere qualcosa di babbo: Sarri ha la struttura dell'uomo, forte, con i suoi ideali; Baroni la leggerezza, il gioco piacevole; Eriksson la dolcezza, la disponibilità; Inzaghi il rapporto con i giocatori, con molti strettissimo".

A proposito di gioco, suo padre l'ha rivoluzionato anche tatticamente. Se ne rendeva conto?

"Sì, voleva fare qualcosa di grande per far sì che chi veniva allo stadio passasse una giornata di festa. Il calcio era uno spettacolo, non voleva vincere 1-0 ma far felice la gente".