Si è preso la Lazio con il sudore, trasformando i fischi in scroscianti applausi: Patric, come Radu prima di lui, è laziale adottato e grande rappresentanza dei tifosi in campo. Quello che è stato Stefan, senza dubbio, è qualcosa di difficilmente emulabile ma lo spagnolo è destinato a restare in egual misura nel cuore dei tifosi. Come un senatore guida i suoi compagni nel ritiro di Auronzo di Cadore e, intervenuto ai microfoni del Corriere dello Sport ha raccontato le sue sensazioni in vista della prossima stagione e non solo.
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Lazio, Patric: “Io figlio dei laziali. In questo calcio esistono ancora bandiere”
"Sono figlio dei laziali. Dietro una carriera c'è sempre lo specchio della vita e della personalità fuori dal campo. E io non mollo mai".
Patric, come procede il ritiro?
"In modo intenso, forse uno dei più duri. Faticoso sul momento, ma è benzina per le gambe".
L'impatto di Baroni?
"Le sensazioni sono molto buone, mi piacciono gli allenamenti e il suo atteggiamento. Ci darà soddisfazioni. E appena arrivato, devo ancora conoscerlo bene".
Mesi fa ha parlato della necessità di "onestà" nel gruppo, che dovessero farsi da partei compagni senza stimoli. Sono andati via?
"Non mi riferivo a Luis Alberto e Immobile, per loro ho solo riconoscenza. Due professionisti, due persone che il mondo Lazio deve ringraziare. Quando ci siamo giocati il 'pane', sono stati sempre i primi a prendersi le responsabilità. La cosa pesa. Vanno ringraziati e basta, poi tutto ha un inizio e una fine. Meglio lasciarsi prima che dopo... So quanto potessero essere motivati o meno, è arrivato il momento di lasciare e l'hanno fatto".
Cosa non ha funzionato la scorsa stagione?
"Abbiamo sbagliato 5-6 partite con le piccole e perso punti fondamentali. Sappiamo quanto chiede la piazza, ma se andiamo in profondità l'annata non è stata così disastrosa. Siamo usciti in Coppa Italia per un gol della Juve all'ultimo minuto, abbiamo battuto il Bayern in
Champions. In campionato, giustamente, le aspettative erano maggiori. Sono in A le gare di cui dobbiamo rimproverarci".
Parla da leader, ormai è un esempio.
"Dietro ogni carriera c'è lo specchio della vita e della personalità fuori dal campo. Sono orgoglioso, mi sono allenato più forte. C'è stato un momento in cui dovevo solo stare zitto e pedalare. Non ero maturo come persona, si vedeva in partita. La frenesia e la voglia mi portavano a sbagliare. Sono fiero che i tifosi ora credano in me, ho raggiunto un equilibrio nelle prestazioni".
Si sente un punto di riferimento?
"Non sono a mio agio a parlare di me. I tifosi hanno capito la persona che sono: non mollo mai, do il 100%, è uno stile di vita".
Per come esulta sembra un tifoso in campo.
"Qui sono cresciuto, sono un figlio dei laziali. Loro lo sentono, io lo sento. Soffriamo e lottiamo insieme, sono passionale e spontaneo. Non riesco a controllarmi, non c'è nulla di preparato. Ma lo ammetto: a volte rivedo le mie reazioni in partita e un po' mi vergogno".
Esistono ancora le bandiere?
"Sì, esistono".
Patric lo può diventare?
"Qui sto alla grande, ho fatto bene gli ultimi anni, ma non penso a nessun record. Provo a dare il massimo ogni stagione. Se un giorno non sarò più utile, me ne andrò subito".
Come ha visto i nuovi acquisti?
"Mi stanno sorprendendo per atteggiamento e umiltà. I "vecchietti" come me ci mettono poco a capire se si ha dentro la voglia di crescere. Si può accettare l'errore in campo, non l'atteggiamento sbagliato. Loro hanno fame e ascoltano i consigli, fa piacere".
L'obiettivo della Lazio?
"Sono sincero, il cambio è grande. È andato via pure Felipe Anderson, ci dava tanto anche quando non brillava. Pipe, Ciro e Luis, tre nomi importanti. Siamo positivi e ambiziosi, abbiamo fame, stiamo lavorando forte, però serve pazienza. Roma non è una piazza facile, è giusto comunque essere esigenti, non possiamo mica fermarci. Siamo noi grandi a doverci prendere le responsabilità. Ai nuovi serve un po' di respiro".
Ha raccontato di aver sofferto di depressione.
"In molti si sono aperti dopo le mie parole. Ho ricevuto tanti messaggi, ho parlato anche con Perin. Non ho detto nulla nei momenti difficili, in campo riuscivo a nascondere i problemi, sono stato zitto e ho sbagliato. Se si tiene tutto dentro, nel calcio, uno può perdere 2-3 anni di carriera. Chi soffre deve dirlo, il male va buttato fuori".
Un insegnamento ricevuto per ogni tecnico avuto a Roma.
"Con Pioli ho imparato la sofferenza, mi ha chiuso in palestra perché dovevo cambiare fisico. Venivo dal Barcellona B, contava solo la palla. Inzaghi mi ha dato l'opportunità, ha creduto in me quando nessuno lo faceva. Con Sarri una rivincita, sono migliorato in tutti i sensi".
Ha dimenticato Tudor.
«Troppo poco tempo. Dico temperamento e personalità».
Euro 2024, l'Italia cosa può imparare dalla Spagna?
"Nulla, ogni nazione ha la sua forza. L'Italia ha vinto 4 mondiali e 2 europei, la storia parla. La credibilità nel calcio d'oggi ce l'ha solo chi vince. La Spagna, avesse trionfato l'Inghilterra, non avrebbe avuto tutta questa credibilità. Di certo il successo è meritato".
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