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Riccardo Cucchi: “L’idolo D’Amico, Baroni e la Lazio del ’74: vi dico tutto!”
La sua voce è parte integrante della storia biancoceleste. “Sono le 18:04 del 14 Maggio 2000, la Lazio è Campione d’Italia”, questo l’inciso scolpito nella mente dei tifosi capitolini. Parliamo di Riccardo Cucchi, ex radiocronista prima voce di “Tutto il calcio minuto per minuto” e non solo. La sua ultima radiocronaca, Inter-Empoli 2-0, è datata 12 febbraio 2017, esattamente otto anni fa. Un momento speciale, come il tributo riservatogli dal mondo pallonaro con uno striscione esposto sugli spalti del Meazza titolato "A te il nostro applauso per averci emozionato per davvero in un mondo finto. Riccardo Cucchi simbolo del nostro calcio".
Oggi, in occasione di questa particolare ricorrenza, la nostra redazione lo ha contattato. Tanti i temi affrontati nell'intervista, a partire dalla sua passione per la Lazio, svelata al pubblico solo dopo aver appeso al chiodo il microfono, fino ad arrivare al nuovo corso di Baroni, caratterizzato dai valori che gli ricordano quelli di Tommaso Maestrelli e della sua Banda, passando per gli idoli che hanno caratterizzato la sua vita da tifoso come Vincenzo D’Amico. Queste le sue parole.
La sua carriera passa inevitabilmente per le “18:04 del 14 Maggio 2000”. Credeva alle possibilità di rimonta biancoceleste?
“No, assolutamente. L'unica speranza che si coltivava è che si potesse arrivare al massimo allo spareggio tramite una vittoria della Lazio contro la Reggina e, magari, un pareggio della Juventus a Perugia. Che l'epilogo fosse quello che poi è stato era imprevedibile per tutti noi”.
Segna Calori, la sua voce subentra nell’assurdo pomeriggio dell’Olimpico per i minuti finali di Perugia-Juventus. Sapeva di raccontare quel finale di partita a tutto lo Stadio? Qual è stata la sua reazione alla notizia?
“Non lo sapevo. Sapevo di essere rimasto da solo nell'Etere perché la partita di Roma era conclusa, al microfono c'era il collega Bruno Gentili. La radio cambiò completamente il palinsesto, fu repentino. Seppi del fatto soltanto tornando a casa, quando mio figlio, anch'egli laziale, mi raccontò che all'interno dell'Olimpico tutti avevano ascoltato il mio racconto di Perugia-Juventus”.
È stato difficile assimilare la cesura tra il suo lato tifoso e quello di cronista?
“Mi sono dovuto sdoppiare. Da una parte c'era il radiocronista, quindi l'obiettività, cioè l'unica cosa che contava. Dall'altra c'era il laziale, un vulcano con il cuore in tumulto. Quel tumulto però non doveva neanche avvicinarsi al microfono. Mi concentrai sulla partita, mi attaccai a ogni particolare. Cercavo di mettermi nei panni dei tifosi juventini, che soffrivano. In questo modo sentivo di poter essere più distaccato. È stato molto difficile per me, da laziale.
La generazione di radiocronisti di Ameri e Ciotti, grandi maestri della parola, era abituata a tale atteggiamento. Era inimmaginabile partecipare da un punto di vista emotivo a ciò a cui si stava assistendo. Non era pensabile parteggiare. Ero allenato ad essere obiettivo, era ciò che ci veniva chiesto. Era la nostra bussola”.
Ci sono particolari icone legate al mondo Lazio che hanno segnato la vita del Cucchi tifoso?
“Tanti, anche fra quelli meno conosciuti. Cominciai a tifare quando avevo otto anni, erano gli anni Sessanta. Anni difficili, caratterizzati da retrocessioni e promozioni che si alternavano di anno in anno. Ho vissuto una Lazio difficile. Ho ricordi straordinari di tanti calciatori, a partire da Arrigo Dolso, ma anche Mimmo Renna e Vito D’Amato. E poi ancora: Nello Governato, Pierluigi Pagni, Vincenzo Gasperi.
Qualcosa poi è cambiato, dagli anni Settanta abbiamo avuto calciatori di grande rilievo e il tempo ci ha consegnato una Lazio diversa. Penso a Peppiniello Massa, a Giorgio Chinaglia e ai suoi meravigliosi compagni. Ma anche a Beppe Signori e a Bruno Giordano. Però il poster che campeggiava nella mia stanzetta di ragazzino era quello di Vincenzo D’Amico, come gli dissi quando ebbi modo di conoscerlo”.
La sua carriera da radiocronista si è conclusa il 12/02/2017, esattamente otto anni fa. Poi è tornato a seguire la sua Lazio ancora più da vicino. Quanto le è mancato andare allo stadio da tifoso?
“Mi è mancato tanto. Sono stato estremamente fortunato, sono riuscito a coronare un sogno. Mai avrei immaginato di riuscirci, quarant’anni a raccontare il Calcio in tribuna. Sono tornato dove tutto è cominciato, quando vivevo la mia Lazio in Curva. Non sono mai voluto tornare in tribuna, non mi diverte. Non è cambiato molto, le passioni che ci travolgono non sono tanto diverse.
Vedo adulti e bambini gioire e piangere. Allo stadio non c’è distinzione, siamo tutti uguali. Nessuno sa cosa faccia il vicino di post. Con un gruppo di una ventina di persone si è creata una sorta di comunità, sebbene nessuno sappia cosa faccia l’altro. Ma quando la Lazio vince ci abbracciamo tutto, come fossimo una famiglia di lunga tradizione. È meraviglioso”.
Passando all’attualità: come vede la Lazio di Baroni, oggi impegnata nella volata alla Champions League?
“Sono molto felice. La gente sta tornando allo stadio. Si è creato un legame forte con questa formazione, che non si arrende mai e prova a sempre a vincere. È questo che ci piace. Baroni è riuscito a ricostruire qualcosa che mi ricorda esperienze del passato. La Lazio entusiasma e appassiona. Ha fatto un grande lavoro, non era facile rifondare la squadra dopo alcune partenze eccellenti.
Fabiani, secondo me, ha operato in maniera intelligente sul mercato per costruire un gruppo interessante. Non sappiamo ancora quale sia il reale valore di questa squadra, ma il fatto che sia lì, al quarto posto in campionato e al primo posto in Europa League. Ci sono elementi di questa Lazio che fanno ben sperare e sognare per gli anni a venire”.
Ha parlato di ‘esperienze passate’. In Baroni vede valori di alcuni grandi tecnici, in passato alla guida della Lazio?
“È azzardato, ma in questa Lazio vedo molto della squadra del ’74. Voglio essere chiaro: non vuol dire che andremo a vincere lo Scudetto come fece quel collettivo. Vedo in Baroni molto di quello che fu Maestrelli, me lo ricorda molto sia sul piano dei valori, delle qualità anche culturali che questa squadra esprime. Certo, non voglio dire che Baroni potrà fare le stesse cose di Tommaso”.
Tra gli interpreti del nuovo corso della Lazio qualcuno la entusiasma più di altri?
“Vedo un Rovella straripante, anche Guendouzi è fondamentale. Pedro a trentasette anni insegna e disegna Calcio, finalmente abbiamo esterni come Isaksen e Nuno Tavares. Su tutti, però, sono innamorato dei due centrocampisti. Rovella ha preso possesso della Lazio, è un calciatore totale, straordinario. Ha tutto: corsa, tecnica, qualità, polmoni e temperamento.
Il suo gemello perfetto è Guendouzi, che a volte ha delle movenze che ricordano un danzatore. Si sacrifica, si batte per la squadra. Sono due pedine fondamentale e formano una coppia affiatatissima per un centrocampo che è tra i migliori in Serie A”.
Dove può arrivare la Lazio in Europa League? Può ambire a vincere la competizione?
“Sono troppi gli imprevisti da calcolare. Per qualche mese ho visto squadre cedere, anche la Lazio ha giocato più di un paio di partite non convincenti. Quello che mi fa essere sereno è che Baroni dà la stessa importanza a ogni partita su tutti e tre i fronti, ci metto dentro anche la Coppa Italia. E lo fa attuando un turnover che fa leva su un gruppo molto largo, senza fare divisioni nette al suo interno. Ci sono formazioni molto forti, sarà difficile. Non sono sicuro che riuscirà ad ottenere i propri obiettivi ma sono fiducioso per il futuro”.
Come giudica il mercato di gennaio?
“Come ogni tifoso avrei voluto i grandi campioni, come successe nel 2000. Sappiamo, però, che quello sforzo enorme di Cragnotti, che non finiremo mai di ringraziare per tutto quello che ha fatto, purtroppo poteva costare il fallimento. Sono convinto che i tre giovani ragazzi siano di valore.
È questo il percorso da intraprendere, anche per le squadre più forti. Il nostro campionato viaggia su un debito complessivo di circa cinque miliardi. Si devono prendere a modello società come Lazio, Napoli, Atalanta o Bologna, in grado di unire risultati tecnici e il controllo dei bilanci. Il Calcio non può viaggiare in deficit, servono norme più severe per tutti”.
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