cittaceleste news Siviglia: “La Lazio, i tifosi, Totti e Lotito: vi racconto tutto”

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Siviglia: “La Lazio, i tifosi, Totti e Lotito: vi racconto tutto”

Edoardo Benedetti Redattore 
Le parole dell'ex calciatore biancoceleste, intervistato da La Gazzetta dello Sport, in merito al suo passato in biancoceleste e non solo

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Sebastiano Siviglia, intervistato da La Gazzetta dello Sport, ha parlato della sua carriera e del passato alla Lazio. Di seguito le sue dichiarazioni:

Com’è la vita in Arabia?

"Viviamo in dei compound dove c’è tutto. Riad è un cantiere aperto dove si costruisce di continuo. Bisogna adattarsi alla loro cultura. Qui ci si allena di pomeriggio e non di mattina, la preghiera c’è cinque volte al giorno".

Come mai è stato tre anni fermo?

"Dopo il Potenza ho avuto alcune offerte, ma niente di concreto. Quando Simone mi ha chiamato non ci ho pensato un attimo".

Quant’è cambiato rispetto all’Inzaghi calciatore?

"Tanto. Alla Lazio era un continuo di scherzi e risate. Lui e Tare si stuzzicavano. Una volta Igli bevve due litri di tè in cinque minuti per una scommessa persa".

La storia di Siviglia da dove parte, invece?

"Da Palizzi, un paesino in provincia di Reggio Calabria. Papà operaio, madre casalinga. Mi dicevano che il pallone non mi avrebbe dato da mangiare. Studiavo come ragioniere, se non avessi giocato avrei lavorato nell’immobiliare. Ma questo 'disinteresse' mi ha lasciato libero. Sono partito dall’Interregionale, poi mi ha preso il Parma, ma tra i 18 e i 19 anni, dopo aver fatto il militare, ho pensato di mollare tutto".

Come mai?

"Ero tesserato con l’Audax Ravagliese. Il Parma mi aveva preso in prestito. Ma il presidente morì e rimasi senza agente. Un anno e mezzo di stop. Ho pensato 'Che gioco a fare?'. Un giorno chiamai Salvatore Matrecano e mi proposi per la Nocerina, in C2. Mi presero. La mia rinascita è iniziata così. Una delle tante. Due promozioni in due stagioni, l’ultima in B con Delneri".

Alla fine, il salto in A l’ha fatto col Verona, estate 1996.

"E non volevo neanche andarci. 'Ora tu fai i bagagli e vai al Bentegodi. Subito', mi disse Delneri. In quel dialetto strano che capiva solo lui. Fu decisivo".

Prima l’Atalanta, poi la Roma. Lì come mai non andò?

"Mi volevano West Ham e Betis Siviglia, ma i giallorossi avevano vinto lo scudetto. Io avevo debuttato in Serie A contro la Fiorentina di Batistuta, finito poi alla Roma. Per me fu come chiudere un cerchio, ma giocai poco. A posteriori fu una scelta sbagliata. Scelsi di andare via io".

Parma e Atalanta prima della seconda rinascita, però: Lecce.

"Lì ho incontrato la mia compagna e sono nate le mie figlie. Avevo bisogno del calore del sud. Ricordo Corvino, un burbero buono che quando si incazzava dovevi fuggire, e un girone di ritorno da più di 30 punti".

Infine la Lazio. Come nacque l’affare?

"Tournée a Valencia col Parma. Notte inoltrata, tipo le due. Squilla il telefono. 'Ao’, è Siviglia? Vieni a giocare con noi?'. Chiesi chi fosse. 'Sono il presidente Lotito'. Sono stato uno dei suoi 9 acquisti in un giorno".

All’inizio la accolsero con scetticismo?

"Sì, anche in virtù del mio passato alla Roma. Qualcuno mi chiamava spia. Ma il tempo ha cancellato tutto. La Lazio è stata il capolavoro della mia carriera. La compagna con cui sarei invecchiato".

Il ricordo più bello?

"Il gol di tacco alla Fiorentina nel 2010, che io chiamo 'il tacco di Dio'. L’ultima rete in A nell’ultimo anno da calciatore. Cancellai i fischi dell’anno prima, quando festeggiai un gol al Torino mettendo le mani alle orecchie".

Perché lo fece?

"Stavamo andando male, i tifosi erano incazzati. Volevo dire alla curva di starci vicino, ma lo stadio mi fischiò. Io ero a terra, deluso. Quel tacco alla Fiorentina ha rimesso a posto le cose. Ma se fosse stato per me avrei giocato un altro anno alla Lazio".

Aneddoti sparsi. Uno su Lotito?

"La notte prima della finale di Coppa Italia del 2009 mi chiamò, di nuovo. 'Sebastiano, dobbiamo vincere'. 'Domani ad alzare il trofeo saremo noi'. Fu il primo della sua gestione, seguito dalla Supercoppa l’anno dopo a Pechino. Ringrazio Matuzalem perché mi ha fatto vincere un titolo segnando… di naso. Un fenomeno. Un gangster di tecnica e gara. Un po’ Pirlo e un po’ Gattuso, con le dovute proporzioni".

Lei indossò anche la 13 di Nesta.

"Un orgoglio, ma Sandro è Sandro. Io ero uno dei simboli di una Lazio operaia che in quel periodo faceva anche un po’ sognare. Nel 2007 giocammo in Champions contro il Real. Io, Mutarelli, Ballotta, Mudingayi. Dall’altra parte c’erano Raul, Sneijder, Van Nistelrooy. Ma finì 2-2".

Altro nome: Paolo Di Canio.

"Prima del derby del 6 gennaio vinto 3-1, che io non giocai, portò la squadra a casa a vedere Braveheart per caricare tutti in vista della partita".

Parlando di derby. Lei diede del 'cornuto' a Totti.

"Perché lui mi disse 'frocio'. Solo goliardia, però: finì lì".

Un rimpianto ce l’ha?

"Mi sarebbe piaciuto giocare una partita in Nazionale. Nel 2005, con Lippi, ci andai vicino: ero finito in una lista di 36 nomi in vista di una tournée negli StatiUniti. Non andai, ma ho vissuto ciò che ho meritato. E poi ho avuto la Lazio. E la Lazio è stata vita".