A margine del Clinic tenuto in Toscana Maurizio Sarri è intervenuto ai microfoni di Sportitalia. Queste le parole dell’allenatore della Lazio. “Io sono il primo a dover ringraziare per l’ospitalità ricevuta per questo Clinic, che nasce perché è un modo per aiutare la squadra del mio paese, in cui ho fatto le giovanili e ho giocato in prima squadra. Nasce per questo, ma poi mettere la propria esperienza a disposizione dei più giovani, nei quali mi rivedo, mi dà gusto e soddisfazione. Lo faccio molto volentieri. Si parte dalle idee, che vengono sviluppate e su alcune cose si fanno passi indietro. È normale nell’evoluzione di una persona.
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RIVIVI IL LIVE | Lazio, Sarri: “Tornato per amore, spero ne torni un po’. Secondo posto e addio…”
Pensare a 25 calciatori adatti al proprio gioco nel calcio attuale è impossibile, cambiare le rose sta diventando sempre più dispendioso. Bisogna aumentare nella capacità di sapersi adattare ai calciatori a disposizione. Mi fa sorridere sentire che certe squadre mie non giocano contro il mio Napoli: non possono, non ho più avuto squadre con quelle caratteristiche tecniche. Mi sarebbe piaciuto perché è il calcio che mi dà più soddisfazione, ma se alleno Immobile non posso farlo giocare come Mertens. Sono giocatori diversi, devo giocare in modo diverso.
Alla Lazio poi la mia esperienza non si racchiude negli ultimi tre mesi in cui le cose non sono andate bene. C’è un secondo posto, che è il miglior risultato degli ultimi 25 anni di Lazio. Abbiamo fatto un ottavo di Champions, vincendo una partita su due. Il colpo di testa di Immobile a Monaco? Dopo quell’episodio il Bayern si è rinfrancato. L’inizio della gara ci poteva dare delle speranze, era una squadra un po’ nervosa che giocava in un contesto abbastanza polemico. Andare in vantaggio lì poteva creare presupposti, ma la verità è che erano più forti di noi. De Ligt mi disse che fossimo andati in vantaggio avremmo potuto vincere, avevano uno spirito di squadra basso.
Sono tornato principalmente per amore, dal punto di vista razionale non è la scelta più logica. Ma a me la Lazio mi ha preso, ho amore verso società e tifosi. La scelta è stata d’amore. Se ci ho pensato? C’erano altre cose: fortunatamente a differenza dello scorso anno ho avuto diverse trattative. È motivo di soddisfazione, ma non ci ho pensato tanto: un giorno o due. Mi aspetto un adeguamento della rosa per renderla più idonea alle mie caratteristiche, ma conosco la situazione: ci saranno cambiamenti ma non stravolgimenti.
Il mio addio? La verità è che quando hai familiari a cui sei fortemente attaccato con problemi di salute non sei nelle condizioni mentali di sopportare normali problemi di lavoro. Ma in quel momento non avevo le base per farlo, nulla di eclatante e che non mi sia successo in altre cinquanta occasioni. La pausa in estate? A livello familiare avevo avuto cose che mi avevano segnato, era meglio ritornare in una lucidità totale e riuscire ad assorbire certi lutti. Ma anche quest’anno avevo trattative, una con una società saudita in cui in un mese avrei guadagnato quanto alla Lazio in un anno. Ma fin dall’anno scorso dicevo che sarei andato dove mi portava il cuore, non i soldi. Il calcio l’ho sempre fatto per passione, i soldi arrivati sono stati una conseguenza della passione. Non vorrei farlo ora per soldi.
Fossi Spalletti con l’offerta saudita? Farei quello che ho fatto, non andrei all’Al-Nassr. È qualcosa che se ci penso non mi provoca reazioni emotive, non mi dà stimoli. Mi riuscirebbe difficile. Se portano i campioni là allenerò quelli scarsi qua: mi dà più gusto.
La Nazionale? Può essere un riflesso del movimento, ma negli ultimi tre anni abbiamo fatto bene a livello di club. Sembra un movimento in crescita. Poi ci sono altre problematiche evidentemente a livello di Nazionale, ma sarebbe inaudito non andare ancora al Mondiale. Ognuno ha le proprie responsabilità, sono tre gli allenatori in difficoltà con la qualificazione ai Mondiali, già da questo è difficile pensare sia solo colpa degli allenatori. Probabilmente c’è qualcosa di più grande del tecnico, tutte le componenti del movimento hanno responsabilità: da chi allena i bambini ai giocatori più vecchi. Un consiglio a Gattuso? Di continuare a essere sempre e comunque Rino Gattuso. Penso un allenatore debba essere se stesso se sei te stesso qualcosa trasmetti. Conosciamo il carattere di Rino, che a me piace e mi rimane molto simpatico. Spero continui a essere lo stesso a prescindere dai risultati.
Le mie squadre per ordine e organizzazione e compattezza penso siano abbastanza inquadrabili: se uno la vede in campo è facile capisca sia una mia squadra. Questa penso sia una mia caratteristica, poi si può discutere sul livello di spettacolarità della squadra ma dipende dalle caratteristiche di certi giocatori e attaccanti, vanno messi nelle condizioni di fare ciò in cui sono più bravi. Ma ordine, compattezza e squadra corta sono miei segni distintivi.
La Juve? Vorresti dire che gli ho fatto la maledizione di Gutman (ride, ndr)? Io me ne ero accorto durante la mia esperienza che fosse una squadra a fine ciclo. Poi questo è stato un anno strano, il Giuntoli che ho conosciuto è di altissimo livello e il Bologna di Thiago Motta giocava con qualità, era difficile da affrontare. Ma l’ambiente Juve è difficile, non so cosa sia successo da fuori, ma mi ha sorpreso. La squadra ha potenzialità per tornare protagonista, ma non necessariamente significa andare a vincere scudetti o coppe europee. Un paio di anni fa Klopp disse che ci giudica un allenatore dopo un solo anno non capisce nulla di calcio. Aveva una buona fetta di ragione.
Il Napoli dopo la mia esperienza a un certo punto ha iniziato a capire che gli investimenti potevano essere importanti e che spesso tornavano dal punto di vista ed economico. Quando c’ero io comprare un giocatore da 18 milioni era un problema quasi insormontabile. La società ora è forte, la squadra fortissima. Il Napoli è la netta favorita per lo scudetto, era forte già prima. Inutile considerare quel decimo posto, è stata un’assurdità, un’anomalia. La sensazione vedendoli dall’esterno è che il dominio continuerà due o tre anni in Italia.
Il Milan? Quest’anno la sensazione era ci fossero giocatori forti, ma non era una squadra forte. Difficile dirlo da fuori, ma uno per uno i giocatori sono forti. Guardando la squadra rimaneva qualche perplessità. Il PSG quest’anno ci ha dato una lezione: ha smesso di fare la squadra di figurine, ha preso ragazzi giovani di grande talento e motivazioni. E con una squadra che sembrava ridimensionata ha vinto dove aveva sempre fallito. Luis Enrique? Per me ora è il migliore allenatore al mondo, se la gioca con Guardiola al di là dell’anno non eccezionale del City. Ma come gioca il PSG me lo ha fatto ammirare. I cinque gol presi dall’Inter? Quando arrivi corto, forse anche mentalmente, contro una squadra come il PSG puoi perdere in modo brutale se non sei in partita.
Fabregas? È un ragazzo con un grandissimo livello di intelligenza. Ha scuola di calcio, l’ho trovato a Coverciano quando era terzultimo. Gli dissi di non preoccuparsi, perché la sua squadra avrebbe fatto bene. Penso diventerà un allenatore di alto livello, da top club. Lo sta dimostrando anche con le idee che sta trasmettendo. Deve finire un percorso, può migliorare in fase difensiva, ma non ho dubbi che in due o tre anni sarà in una top europea.
In Italia in questo momento si sta sventolando che il calcio vincente è quello diretto, anche a costo di tirare pallonate. Ma le nazionali top in Europa sono Portogallo e Spagna, che palleggiano. Vedi il PSG che ha vinto la Champions: squadra di palleggio. Cosa stano guardando questi commentatori? Mi sembra siano fuori pista. Il calcio che sta raccogliendo frutti al momento è un altro.
A Napoli mi sono divertito, anche se non abbiamo vinto. Ma in carriera penso di aver fatto due miracoli: lo scudetto con la Juventus a fine corsa e il secondo posto con la Lazio. Il Chelsea in Europa League? Era forte, poteva vincere. Il secondo posto a Napoli? La squadra era forte e adatta a me. Non ha vinto per episodi sfortunati. In Serie A nessuna squadra è arrivata seconda con 91 punti, ci penso spesso. Probabilmente lo scudetto sarebbe stato il giusto coronamento per me, i giocatori e il pubblico. Era un percorso di tre anni, questo senso di insoddisfazione c’è ma solo per il risultato e mi rimarrà per tutta la vita. Io ricordo squadre che non hanno vinto, ma nessuno ricorda chi ha vinto. Negli Anni Settanta pensi all’Olanda, che però non ha vinto niente. A Napoli parlavano di scudetti, Maradona e del Napoli di Vinicio.
Gasperini alla Roma? È bello. L’Atalanta? Da fuori la sensazione è che l’Atalanta sia una società strutturata, forte e solida. Può continuare anche senza Gasperini, ma la sua sarà una mancanza pesante. Dopo questo tempo in un allenatore può esserci la voglia di fare un’esperienza diversa.
Mantenere il mio rendimento nei derby? Speriamo di poterlo fare, ma sarà dura. È una partita devastante: ne ho fatte di importanti in carriera, ma quello che provi dopo un derby non l’avevo mai provato. Pesa tutta la settimana, ma poi il peso vero arriva quando l’arbitro fischia la fine. Lì ti rendi conto di cosa hai sostenuto in settimana. Il più bello? Il primo fu bellissimo per l’evoluzione e per l’emozione. Ricordo anche quando abbiamo perso: una sensazione devastante, mi vergognavo ad andare a Formello. Quella settimana è stata dura: non parlavo con nessuno.
Ancelotti? Se ha fatto bene o meno dipende da cosa sentiva in quel momento. Difficile dirlo dall’esterno. Se aspettava dieci giorni era l’allenatore dell’Italia. Non so cosa prevarrà in lui tra soddisfazione e rammarico ora.
Il calendario? Ora lo dicono tutti. Mi attaccavano perché stavo antipatico, ma dopo che lo hanno detto Klopp e Guardiola tutti gli hanno dato ragione. È una cosa che aiuta molto, ma la competizione europea manca. C’è un aspetto positivo, il lavoro, ma anche uno negativo. Far andare una coppa europea a una squadra della Capitale non mi piace, proveremo a tornarci ma non sarà facile. A Formello mi mancherà Olympia, la vedevo tutti i giorni. All’Olimpico spero di essere accettato bene da tutti, sono tornato per amore nei loro confronti e spero che un po’ di questo amore mi torni”.
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