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Marchegiani: “Fatto qualcosa di storico. Aver legato il mio nome alla Lazio…”

Marchegiani
L'ex portiere biancoceleste, intervistato dal Corriere dello Sport, ha ricordato lo storico Scudetto del 1999/2000 vinto con questi colori
Edoardo Benedetti Redattore 

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Luca Marchegiani, intervistato dal Corriere dello Sport, ha parlato dello secondo Scudetto della Lazio conquistato nella stagione 1999/2000. Di seguito le sue dichiarazioni:

Se pensa a quello Scudetto qual è il primo ricordo che le viene in mente?

"La consapevolezza di aver fatto una cosa storica. Gli scudetti si vincono ogni anno, ma vincerli in un contesto come questo ti fa entrare di diritto nella storia del club. Questa è una cosa che quando il pallone si ferma, diventa ancora più intensa. Aver legato il mio nome a quello di una società come la Lazio è importante. Contano le vittorie, ma conta soprattutto quello che lasci. E noi siamo riusciti a lasciare un ricordo indelebile".

Quanto è stata importante la voglia di rivalsa dopo lo Scudetto perso l'anno precedente?

"Eravamo arrivati secondi, ma in un campionato combattutissimo e deciso all'ultima giornata. E per una lunga serie di motivi abbiamo sempre creduto di averlo perso immeritatamente. Quando è iniziato il  nuovo campionato non abbiamo mai creduto che l'occasione persa la stagione precedente fosse irripetibile. Sapevamo che il secondo posto era solo una tappa. Una parte del percorso. Siamo partiti con grande consapevolezza e con la certezza che potevamo arrivare fino alla fine. Quelli poi erano anni in cui ai nastri di partenza lo Scudetto lo potevano vincere in tanti. Essere competitivi e partire tra i favoriti era già qualcosa di importante. Ci sentivamo una squadra forte".

Le famose sette sorelle...

"C'era il Milan che aveva vinto lo Scudetto l'anno prima, l'Inter che aveva preso Vieri da noi, la Juve di Del Piero, la Fiorentina di Batistuta, il Parma di Crespo, la Roma. Noi, ad una squadra forte, avevamo aggiunto gente come Simeone, come Veron. Arrivò Inzaghi che fece benissimo e che nonostante fosse giovane decise tante partite con gol importanti".

La vittoria in Supercoppa europea con il Manchester United quanto ha rafforzato le vostre certezze?

"Tanto. Battere quel Manchester United fu una grande impresa. Noi stavamo maturando una buona esperienza a livello internazionale: venivamo da due finali europee consecutive. Ma affrontavamo una squadra che era abituata a certi contesti, con giocatori fortissimi. Averli battuti ci ha dato fiducia e consapevolezza. Che fossimo una squadra forte lo sapevamo, ma sconfiggere lo United ci ha dato una dimensione internazionale di grande livello".

Parte la stagione e Lazio e Juventus iniziano a giocarsela punto a punto...

"Siamo partiti bene, sapevamo che molto sarebbe dipeso da noi. E partire bene è stato fondamentale".

Se dovesse spiegare a chi non l'ha mai vista giocare le caratteristiche di quella Lazio, come la inquadrerebbe?

"Noi eravamo una squadra fortemente basata sul talento dei giocatori che aveva a disposizione. Non avevamo un impianto di gioco particolarmente distintivo. A centrocampo ci affidavamo a Veron, così come nell'impostazione c'era Sinisa, che sui corner e sulle punizioni era implacabile. C'era Mancini che sapeva incidere come pochi, Salas che segnava sempre, avevamo due esterni fortissimi come Nedved e Conceicao, che quell'anno fece una stagione strepitosa. Noi ci siamo basati molto su quello. E poi c'è da dire che rispetto al calcio di oggi c'era meno tatticismo. Era tutto un po' lasciato al talento dei giocatori. E noi ne avevamo tanto".

La partita dell'anno?

"Juventus-Lazio, perché ci ha dato la possibilità di avvicinarci alla vetta della classifica, dopo che i bianconeri erano passati avanti. Ma fu fondamentale anche il derby della domenica prima, senza dimenticare le sfide che sono venute dopo. Il segreto delle squadre che arrivano da dietro è quello, non sbagliare nulla e creare pressione a chi è davanti. Noi dal derby in poi le vincemmo tutte, meno Firenze".

Quanto fu importante Diego Pablo Simeone, in quel finale così intenso?

"Se c'è un giocatore che è in grado di personificare meglio di tutti la capacità di non mollare niente e di trascinarci a vincere le gare, è stato lui. Diego non fu un titolare inamovibile in quella stagione, ma nel momento cruciale è stato eccezionale. Aveva la capacità di fare sempre la cosa giusta nel momento giusto: un calciatore straordinario, che in quella stagione ha dimostrato le sue grandi caratteristiche".

14 maggio del 2000: Luca Marchegiani ci credeva davvero o al massimo sperava in uno spareggio?

"C'erano premesse diverse rispetto alla stagione precedente. Il Milan, in un modo o nell'altro, le aveva vinte tutte. Quell'anno invece la Juve era meno infallibile: perse dei punti e non sembrava in grandissima salute. L'ultima gara, quando una squadra deve vincere il titolo e l'altra non ha nulla da chiedere, è sempre un'incognita: ma io avevo buone sensazioni. Però non credevo che la Juve potesse perdere a Perugia. Io speravo nello spareggio e sono convinto che se ci fossimo arrivati avremmo vinto. Stavamo meglio di loro. Ma fortunatamente non ce ne fu bisogno".

Cosa ricorda dei festeggiamenti post scudetto?

"Una gioia indescrivibile. Difficile a distanza di anni riuscire a spiegare bene l'intensità di quei momenti. Obiettivamente, era una cosa per la quale avevamo lavorato un anno ed eravamo coscienti di meritarlo. Vedere il successo concretizzarsi davanti ai nostri occhi è stato qualcosa di fantastico. Un sogno".