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Lunga intervista concessa da Federico Marchetti alla Gazzetta dello Sport. L’ex portiere della Lazio ripercorre la sua carriera tra traguardi, difficoltà e rimpianti. Di seguito le sue parole.
Federico Marchetti, partiamo da qui. La fede ha fatto sempre parte della sua vita.
"Potrei farle tanti esempi in cui mi ha salvato, ma gliene voglio citare uno. Quando avevo vent’anni, ero in macchina con due compagni di squadra e un tir invase la nostra corsia. Ho visto la morte in faccia. Poi c’è stato come un bagliore e ci siamo salvati... È stato un intervento divino. Eravamo in mezzo alle fiamme, ma illesi".
Dieci anni dopo, poi, lei ha dovuto affrontare un periodo difficile. Anche lì la fede fu importante per uscirne?
"Fondamentale, altroché. Ero depresso, non ho vergogna nel dirlo. Avevo smarrito me stesso, non riuscivo nemmeno più a tuffarmi tra i pali".
È vero che si rifiutò di scendere in campo?
"Stavo male, non ero nello stato mentale adatto per scendere in campo. Lo dissi al preparatore dei portieri. ‘Non me la sento’. Non fu capito. Giocavo a Cagliari e la società insabbiò tutto: venne solamente comunicato che ero infortunato. In realtà avrei avuto bisogno di sostegno, non di essere lasciato solo. La depressione è una malattia, va trattata con serietà".
Citava lei Cagliari. Con Cellino il rapporto è stato complesso...
"Ho subìto un mobbing camuffato. Mi allenavo con la prima squadra, ma non venivo mai convocato. Tornavo dal Mondiale in Sudafrica, in cui ho fatto pure due presenze, e mi fu addossata la colpa di aver detto che mi sarebbe piaciuto giocare la Champions. Tutto qui. Da lì è iniziata una guerra senza fine. Pensi che in tribunale mi presentai con un vestito viola per far innervosire Cellino: aveva gli occhi sbarrati".
C’è stata qualche trattativa quell’estate? Era pur sempre il portiere della Nazionale italiana.
"Mi volevano in tanti, sì. Durante il Mondiale ci fu una chiacchierata con la Samp, poi la Roma e il Milan. Allegri, con cui ho un ottimo rapporto, mi voleva portare con sé. Ma sa... il presidente rifiutava ogni offerta, per cui era difficile muoversi".
Dopo un anno in tribuna la compra la Lazio. Con i biancocelesti vinse il derby in finale di Coppa Italia. Che ricordi ha?
"Magici. Ancora oggi capita per strada di incontrare chi mi ferma e racconta ai figli: 'Lui era il portiere della finale del 2013'. Siamo diventati immortali con quella vittoria".
Anche nella Lazio, dopo tante stagioni positive, perse il posto e finì fuori rosa. È stata anche un po’ colpa di Marchetti?
"Mah, sinceramente no. Roma è una piazza complicata, fai un errore e ti mettono in croce. Ricordo i commenti: ‘Mo’ questo si deprime di nuovo’. Poi c’erano voci su di me che uscivo la sera e avevo vizi particolari: tutte bugie. Ma capisco che uno che fa uso di cocaina faccia fare più click di un depresso".
Le lacrime sotto la Nord, però, raccontano di un legame vero.
"Altroché, Roma è casa mia. Ci vivo ancora. Quelle lacrime furono un gesto doveroso, anche se vestivo un’altra maglia in quel momento. Era la prima volta che tornavo all’Olimpico. I tifosi rossoblù non la presero bene, mi venne dato del laziale".
Nel 2018, appunto, finisce al Genoa. Fu un errore?
"Pensi, dovevo andare a Napoli al posto di Meret. Invece vado al Genoa e non gioco mai. Una gestione ridicola da parte di personaggi rivedibili...".
Si riferisce a Blessin, in particolare?
"Quello che penso lo avete già letto su Instagram. È il peggior allenatore mai visto. Ci trattava di m... e ci umiliava in continuazione, anche singolarmente".
Ci racconti.
"Prendeva i giocatori e li insultava. Odiava gli italiani. Calafiori lo massacrava, gli diceva che era un “italian bastard”. Soffriva me, Criscito e Behrami. Infatti, non è un caso che Pandev scelse di accettare il Parma in Serie B pur di scappare".
Se la prendeva anche con lui?
"Le sembra normale che un ragazzo che ha vinto tutto in Italia e in Europa finisca a fare i tiri con i ragazzini a fine allenamento? Blessin lo umiliava in continuazione. Lui è andato via prima di mettergli le mani addosso".
Ha qualche rimpianto?
"Sì, mi è mancata una big. Anche se sono felice del percorso fatto. Mi è dispiaciuto per il Genoa, è stata una situazione gestita malissimo...".
Anche senza giocare in una grande è riuscito però a essere convocato in pianta stabile in Nazionale. Ha partecipato a un Mondiale, una Confederations Cup e un Europeo.
"Sì, devo solo ringraziare Lippi, Prandelli e Conte per la fiducia. Certo, va detto che per molti ero sempre “quello del Cagliari”. Anche dopo il Mondiale la critica fu quella di giocare in una squadra minore. Fossi stato il portiere del Milan sarebbe stata un’altra storia".
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