“Arrivato ai 60 anni pensi di avere la corazza per affrontare tutto. E invece quando ti trovi lì, con tutta quella gente che applaude e ricorda, le emozioni ti travolgono. È successo l’anno scorso per i 100 anni della nascita di babbo, sarà così anche domenica” - racconta Massimo Maestrelli, figlio del compianto Tommaso, a La Gazzetta dello Sport in occasione dei cinquant'anni dalla vittoria dello Scudetto della Lazio.
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Massimo Maestrelli: “Mio papà inventò il 4-3-3, la forza di quella Lazio…”
Una famiglia che si riunisce.
«Proprio così. Di solito queste ricorrenze servono a far ritrovare persone che, pur unite da un forte legame, non si incontrano spesso. Non è il nostro caso. Noi almeno una volta al mese ci vediamo. Anche chi vive al Nord, come Stefano Re Cecconi, ci raggiunge. E di solito lo ospito io a casa mia».
Una famiglia oggi meno burrascosa di cinquant’anni fa.
«Già, la storia dei due clan. Tutto vero. Non si parlavano ed erano sempre in conflitto. Il gruppo di Chinaglia e Wilson da una parte, quello di “Cecco” e Martini dall’altra...».
Ma come faceva suo padre a farli remare dalla stessa parte la domenica?
«Ebbe una grande intuizione: assecondare e non reprimere quella fortissima rivalità. In settimana si caricavano e poi la domenica facevano a gara tra loro a chi dovesse essere più decisivo, a chi dovesse salvare la patria. La rivalità continuava anche durante le partite. Ed era la fortuna di quella Lazio».
C’è qualcosa che ancora non si è detto o scritto su quella squadra mitologica?
«Credo di no, e per questo è ancora più incredibile che a distanza di tanti anni se ne continui a parlare e il ricordo non si cancelli».
Un aspetto passato forse in secondo piano è la modernità di quella Lazio.
«Sì, inevitabile perché la caduta improvvisa e soprattutto le tragedie che si sono susseguite hanno preso il sopravvento su tutto. Ma è vero, quella Lazio giocava un calcio che ancora oggi farebbe la sua figura. Il 4-3-3 che oggi è uno dei moduli più in voga lo inventò mio padre, all'epoca non lo faceva nessuno. Con Garlaschelli e D’Amico larghi e Chinaglia punta centrale».
Già, Chinaglia. Che era sempre a casa vostra. Lei e suo fratello Maurizio eravate un po’ gelosi del vostro babbo?
«Assolutamente no, anche perché Giorgio lo vedevamo come un fratello maggiore. Anche se lui era lui...nel senso che aveva tutto quel suo modo di fare».
Lei e suo fratello Maurizio eravate le mascotte della squadra.
«Sì, c’era un rapporto speciale con Re Cecconi e D’Amico. Vincenzo era il più giovane e quindi quello che giocava più volentieri con noi. Ma ci adoravano tutti».
E guai se mancavate alle riunioni tecniche.
«Babbo ci faceva stare con lui quando parlava alla squadra prima delle partite. E i giocatori volevano che fosse così, forse anche per scaramanzia. Una volta che eravamo spariti ci vennero a cercare».
Libri, film-tv, pièce teatrali. Quella Lazio è una costante fonte di ispirazione. E non è finita, giusto?
«Vero. Stiamo girando un film sulla vita di mio padre, uscirà al cinema a ottobre. I registi sono Alberto Manni e Francesco Cordio. Ripercorreremo tutta la vita di Babbo, non solo l’avventura nella Lazio. Io sarò la voce narrante».
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