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Roma-Liverpool, a 41 anni dalla notte dei sogni e dei tiri di rigore

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La notte di sogni e di tiri di rigore che condannarono la Roma alla sconfitta nella storica finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool
Edoardo Pettinelli Redattore 

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Ricorre oggi il 41° anniversario da Roma-Liverpool, storica finale dell'edizione 1983-1984 dell'allora Coppa dei Campioni. Un punto focale della storia giallorossa, una serata memorabile prima ancora di essere vissuta. Sì, perché a presentare - e a fare poi da contorno - a quella che poteva essere la notte di sogni, di coppe, di campioni vi era un entusiasmo febbrile, tale da portare una parte della Capitale a festeggiare prima del tempo. Se mai vi capitasse di passeggiare per le strade di Roma, soprattutto per le vie dei quartieri maggiormente popolari, troverete anche qualche nostalgico tifoso che conserva gelosamente ed espone una bandiera celebrative - tra le tante prodotte - di quella notte, con la dicitura "Campioni!" ad accompagnare un disegno dell'ambita coppa bordato di giallo e rosso e ormai sbiadito dal tempo.

Un'attesa trepidante, una gioia impossibile da contenere. Neanche a secondi dal fischio finale della semifinale di ritorno tra Roma e Dundee United, quando Sebino Nela, allora terzino della Roma, si avvicinava a Jim McLean, tecnico degli scozzesi, per mandarlo platealmente a quel paese. Un gesto passato e immortalato da uno dei fotografi presenti a bordocampo all'Olimpico. Roberto Viola, figlio di Dino, allora presidente giallorosso dichiarerà a posteriori : "Che la Roma abbia dato ad un intermediario 100 milioni per l'arbitro Vautrot è vero ed è un fatto vergognoso".

Un percorso, quello della Roma, non particolarmente esaltante: il percorso a partire dagli ottavi pose di fronte ai giallorossi il CSKA Sofia, la BFC Dynamo e, appunto, il Dundee United. Al contrario di quello del Liverpool, squadra in auge a livello europeo dopo la ricostruzione miracolosa targata Bill Shankly e già trionfante per ben tre edizioni della Coppa dei Campioni 1977, 1978, 1981 -: battuti Odense, Athletic Bilbao Campione di Spagna e Benfica, fu la Dinamo Bucarest l'ultimo ostacolo dei reds prima della finale di Roma. Finale disputata all'Olimpico, tra i favori di casa: la Roma segnerà un particolare record poi eguagliato solo dal Bayern Monaco nell'edizione della nuova Champions League del 2012, divenendo la prima delle due squadre a perdere una finale in casa pro forma nella competizione.

L'ingresso in campo è tutto un programma. Tra i giocatori giallorossi sono tanti gli interpreti di quella sera, Bruno Conti compreso, che ricordano come già solo allo sguardo vi era una netta differenza tra la tensione snervante dei padroni di casa e la consapevolezza distesa degli ospiti. La gara ne risente, non è uno spettacolo memorabile: dopo un approccio leggermente migliore della Roma, in un match comunque contratto, poi passano gli inglesi: spiovente di Johnston dalla destra. Tancredi va in presa ma perde la sfera nello spigoloso contatto con Rush, Bonetti rinvia come può sul corpo dell'estremo difensore. La sfera arriverà tra i piedi del terzino Neal, che deve solo insaccare il gol del vantaggio ospite.

La Roma accusa il colpo, senza però alzare bandiera bianca. Il ritmo, gestito dagli interpreti di maggior qualità tra le fila dei reds, si alza improvvisamente. Qui arriva forse il primo segnale negativo da Falcão, sovrastato a centrocampo da Whelan e compagni. La Roma riesce comunque a fare a meno della migliore versione del suo centrocampista principe e trova la via del pari: Conti lavora un buon pallone sul lato sinistro dell'area di rigore e trova un ottimo suggerimento per Pruzzo, che incorna sul cross offerto dal compagno in maglia numero 7 e infila Grobbeelaar con un gran colpo di testa a scavalcarlo.

La ripresa è brillante, ma il ritmo - e le energie - comincia a essere meno incalzante. Fino ai tiri di rigore, che condannarono la Roma. Sulla sponda giallorossa del Tevere qualcuno, ancora oggi, pensa ai cinquantacinque secondi d'orologio che intercorsero tra l'esecuzione vincente dell'indimenticabile Di Bartolomei, che aveva mandato avanti i capitolini dopo l'errore iniziale di Nicol per gli inglesi. Neal rispose al capitano giallorosso: fu l'unico momento di quella storica serata in cui la Roma era in vantaggio sul Liverpool e, quindi, più vicina ad aggiudicarsi la finale di Coppa dei Campioni.

Ma la sequenza dei tiri di rigore, come spesso accade, è crudele ed emette i suoi verdetti senza appello: Conti Graziani sparacchiano sopra la traversa di Grobbelaar il rigore a disposizione. Celebre, forse indimenticabili gli spaghetti legs operati dal portiere dello Zimbabwe - primo africano a vincere la Coppa dei Campioni - facendo ballare il bacino e contraendo le proprie gambe in maniera tanto illeggibile e incomprensibile tanto da interferire con la preparazione dei due attaccanti giallorossi e, forse, addirittura influendo sulla loro battuta. Solo Righetti riesce a trasformare dopo i due errori giallorossi e sarà quindi Kennedy a regalare la quarta Coppa dei Campioni della sua storia.

La gioia del Liverpool guidato da Joe Fagan lascia spazio a una delle serate più amare della storia della Roma. Una notte tanto festeggiata e tanto idealizzata, fino all'epilogo drammatico: qualcuno ancora rimugina sul grande rifiuto di Falcão di battere il calcio di rigore. Soprattutto dopo quanto accaduto nella precedente estate, con lo stucchevole tiramolla per il rinnovo del contratto inscenato con la complicità del suo agente, Cristoforo Colombo Miller: una cicatrice nell'esperienza nella Capitale di quello che era considerato - lato Roma, ovviamente - l'"ottavo Re di Roma". Una notte che ha segnato uno spaccato indelebile nella storia della Roma e una frattura che tutti i tifosi giallorossi hanno faticato a digerire.