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Tare: “Lotito per me è stato una guida. Quella Lazio pre-Covid era la favorita…”

Tare
L'ex direttore sportivo biancoceleste ha ripercorso la sua avventura ai biancocelesti durata 15 anni, svelando aneddoti e esperienze vissute

Igli Tare, ospite di Cronache di Spogliatoio per la finale del Mondiale per Club, è tornato a parlare di Lazio ma non solo. L'ex direttore sportivo ha ripercorso la sua avventura nella Capitale e si espresso anche in merito al progetto della Superlega. Queste le sue parole.

La sentenza della Corte di Giustizia Europea ha liberalizzato la possibilità ai club di partecipare a competizioni che non siano Fifa e Uefa.

“Credo che avrà un seguito ma è da vedere se può danneggiare o meno il calcio vero. Se sono favorevole? Difficile dirlo, i fondatori di questa idea sono tre società blasonate e indebitate. È da capire quale sarà il percorso. Il calcio di oggi è un'altra cosa e penso che l'Uefa è in grado di organizzare competizioni valide. Come con il nuovo format della prossima stagione, che è un passo verso queste squadre. Il bello del calcio è sempre stato vedere il tuo club, nella tua città. Poi le risorse economiche sono fondamentali ma è ancora troppo presto per avere un'idea chiara per capire se sarà giusto o meno”.

Esiste uno scenario in cui si possa arrivare ad una collaborazione tra Uefa e Superlega?

“Penso che ci si arriverà, anche se la posizione dell'Uefa è molto rigida al momento. Il calcio ha una storia importante, da rispettare. Se è per il bene del calcio lo capiremo nel tempo. Ma in questo momento le due parti hanno posizione nette”.

Prova un po' di nostalgia nei confronti della Lazio?

“Ho dei bei sentimenti per la mia storia vissuta alla Lazio. Seguo con interesse i risultati e spero che loro riescano a mantenere il livello raggiunto negli ultimi anni e magari cercare di migliorarlo”.  

Cosa pensa quando vede Milinkovic giocare in Arabia? Non c'è mai stato modo di vederlo in un'altra squadra di Serie A?

“Sta dimostrando di essere un fuoriclasse anche lì. Può fare la differenza in qualsiasi squadra e qualsiasi paese. Ci sono stati contatti con tutte le big del campionato italiano ma il prezzo faceva sempre la differenza. Il prezzo varia. 100 milioni? Sì, considerati i prezzi degli ultimi anni li valeva tutti. Non l'abbiamo venduto neanche a quella cifra perché in quel momento lì Lotito ha fatto una scelta d'amore nei confronti della squadra e delle ambizioni della società”.

Quanto cambia la carriera da direttore sportivo rispetto a quando giocavi?

“Questo tempo che ho adesso è utile per riprendersi a livello di energie, soprattutto quando resti per tanti nella stessa società. Hai tempo per studiare anche come lavorano gli altri paesi e per essere a pari livello con loro. Quando sei dentro a una società non hai mai tempo per capirlo. In questo tempo mi è stato utile viaggiare, vedere campionati diversi e capire anche altre cose che a noi a volte sfuggono. L'organizzazione della Premier e della Bundesliga è una cosa da vivere da vicino. Tre settimane fa sono andato in Germania a vedere Leverkusen-Borussia Dortmund con la dirigenza del Leverkusen e abbiamo scambiato idee. Capisci che dietro a un grande risultato c'è un grande lavoro”.

Leverkusen che ha Xabi Alonso, un bravo allenatore.

“Un fuoriclasse, anche per idea di gioco. Allena da due anni e mezzo è giovane e ha tanto margine di crescita. Vedere come i giocatori interpretano le sue idee è molto interessante”. 

Chi potrebbe essere il prossimo a raggiungere questo livello?

“Un nome noto come De Zerbi, è maturo per fare il salto in una grande big. In una mia futura squadra? Lo chiamerei, perché no? La vera domanda è quale sarà la mia prossima squadra”.

Dopo 15 anni di Lotito qualche mese per riprendersi ci vuole...

“Ho imparato tanto da lui, è una persona molto intelligente e sa fare calcio. A volte a modo suo ma per me è stato una grande guida”.

Come avvenne il passaggio di Inzaghi da allenatore della Lazio? E che margini di crescita ha come allenatore?

“Saltò Bielsa ma Inzaghi era un predestinato. Avevamo fatto un percorso dai giovanissimi e sapevamo che sarebbe diventato l'allenatore della Lazio. Ha avuto modo di vincere lo Scudetto due volte. Una volta con la Lazio nel pre-Covid: quella squadra era la favorita perché eravamo fuori dall'Europa rispetto a Juventus e Inter e avevamo un grande gap dalle altre. E l'altra, all'Inter, obiettivo che sfumò nella famosa partita a Bologna. Sono molto felice per lui perché è una persona umile, semplice. Per tutti è facile dire oggi che è un grande allenatore. C'è tanta differenza dietro ai suoi risultati e al suo lavoro. Anche lui è molto giovane, è all'ottavo anno in Serie A. Ha tanto da percorrere in carriera, è uno tra i più vincenti: in 7 anni nel settore giovanile ha perso solo 4 partite”. 

Da compagno di squadra aveva intuito che sarebbe diventato un grande allenatore?

“Come per Guardiola, che aveva una sua idea di calcio, anche Simone non era un giocatore normale. Era molto curioso su tutto: poteva aggiornarti sul calcio dell'eccellenza. Era un pazzo, detto in modo sano. Ha anche qualcosa in più nel creare empatia con il gruppo. Mi guardava dalla panchina quando c'era qualche situazione arbitrale in campo. Era un nostro modo di comunicare, soprattutto nei momenti chiave della partita. Perché sapeva che avevamo i monitor per guardarlo e si girava verso di noi per capire ad esempio se fosse rigore o meno. Inzaghi non penso sia mai stato in bilico. Il suo legame con la Lazio era importante”. 

C'è un colpo che le è sfuggito alla Lazio a cui ogni tanto pensa?

“Ce ne sono tanti. Una top 3? Pastore, all'epoca, quando giocava nell'Huracan e prima di venire a Palermo. Era il mio primo anno, abbiamo sbagliato intermediario, avevo informazioni sbagliata. Avevamo fatto anche l'offerta per comprarlo ma dopo 6 mesi è andato al Palermo. Sabatini mi ha beffato, vantava esperienza. Poi vi dico Cavani, quando stava per lasciare il Palermo. Zamparini non voleva che venisse alla Lazio, non so perché, era una sua idea. Ma eravamo molto vicini a prenderlo in prestito con obbligo. E anche Kim, il difensore che è arrivato al Napoli. Quando era allo Shanghai avevamo fatto un'offerta che il club rifiutò. Ha rinnovato con loro e quando il calcio cinese andava verso il fallimento avevamo già la squadra fatta e lui andò al Fenerbache”. 

Come vengono proposti i calciatori?

“Tutti oggi cercano di anticipare gli altri attraverso lo scouting. Poi ci sono gli agenti che girano nelle varie società in base alle categorie: prima fascia, fascia media e fascia bassa. È una prassi che succede dovunque”.

Che opinione ha del lavoro di Pioli?

“Ho avuto la fortuna di lavorare con lui ed è un allenatore che stimo tanto. Prima di tutto è una persona vera, è un allenatore molto preparato. Poi le aspettative che ha al Milan sono alte: devi essere sempre competitivo per vincere. Onestamente mi soddisfa per me da dirigente averlo portato alla Lazio. L'anno scorso è stato bello vedere sia lui che Inzaghi in semifinale di Champions. Ho un bel rapporto con entrambi, godono della mia stima”.

C'è qualche giocatore che ha portato alla Lazio che ha deluso le sue aspettative?

“No, perché avendo fatto il calciatore so come funzionano le cose. Ci sono giocatori che riescono ad ambientarsi e altri che non riescono, allenatori che la vedono in maniera diversa. Ci sono stati errori da parte nostra, perché chi lavora può sbagliare. Non ho un rimpianto, tutti dicono Muriqi. Ma io ero consapevole che era solo una questione di ambientamento e mentalità che doveva raggiungere ad alto livello. In Spagna è uno dei 3-4 centravanti più forti del campionato spagnolo. Ci sono situazioni che in un posto funzionano e in altri no. L'ambientamento e il tempo per inserirsi è fondamentale. Basta pensare a Felipe Anderson e Luis Alberto: il primo anno di Lazio non potevano giocare neanche in Serie C. Ma chi li vedeva quotidianamente vedeva che erano dei fuoriclasse. Devi essere bravo ad aspettarli”.

E Kamada? Come mai sta rendendo così male?

“Non gioca nel suo ruolo naturale, che è quello di trequartista. Sta facendo la mezz'ala con compiti diversi. La qualità non si discute, poi la scelta sta alla società e all'allenatore. Devono dargli il tempo per ambientarsi, quando non è possibile farlo le strade si dividono”. 

La partita più emozionante fu quel 26 maggio?

“Noi abbiamo fatto una scelta vincente: andare a Norcia a preparare la partita per non sentire la tensione. Ma quando siamo rientrati a Roma capimmo che non era una partita ma la partita. E non si doveva giocare ma soltanto vincerla, è una partita che non ha prezzo”. 

La Lazio della stagione del Covid avrebbe vinto lo Scudetto?

“Se non vincere almeno lottarsi lo Scudetto fino all'ultima giornata. Eravamo una squadra ingiocabile, si era creata questa empatia tra tifoseria, squadra club, lo percepivi quotidianamente. Venivamo da 22 risultati utili consecutivi con 14 vittorie di fila. Eravamo come il Napoli della scorsa stagione, eravamo in forma. Poi purtroppo il Covid e gli infortuni ci hanno inviato un segnale...”

Che momento sta attraversando Immobile?

“Ci sono momenti ma per gli altri segnare 7-8 gol in campionato è tanto e per lui è poco. Non penso che vada criticato, penso che debba essere capito. Anche l'infortunio contro l'Empoli ti dice tanto. Ma Immobile se sta bene fisicamente può ancora fare la differenza. Se non ha feeling con Sarri? Non lo so, sono fuori dal contesto e non posso giudicare come vanno le cose quest'anno. Ma lui può dare ancora tanto a questa squadra. Nei due anni con Sarri ha fatto tanti gol”.

Sarri si lamenta troppo?

“Non ho avuto problemi con lui. Poi ognuno ha il suo modo di vedere la vita, il mondo. Ognuno cerca di dare il contributo per il risultato finale e per il meglio della società. La differenza di visione sugli obiettivi? Diciamo le cose come stanno. L'obiettivo era quello di lottare per i primi quattro posti. Ma se io mi trovo per sette mesi al terzo posto in classifica non posso dire che lottare per la Champions non sia un obiettivo. Non era una contro-posizione nei suoi confronti ma una conferma. Penso che le cose vadano viste da una prospettiva positiva. Quando la squadra dimostra sul campo che può lottare per un obiettivo voglio che ci rimanga fino all'ultimo”.

Come si gestisce un presidente esuberante come Lotito?

“Ho avuto quindici anni di amore-odio ma siamo stati bene insieme. Sapeva i miei punti di forza e io sapevo che lui andava rispettato in quanto mio superiore. Da fuori può sembrare una cosa ma da dentro è un'altra. Sapeva che poteva dire delle cose fino a un certo punto per poi permettere anche alla gente la possibilità di scegliere. Siamo andati avanti così e abbiamo ottenuto grandi risultati”. 

Ha mai pensato di restare a vita alla Lazio?

“Sì, anche perché mi sono trovato molto bene, anche i miei figli sono laziali. Ma in questo mondo le cose cambiano velocemente. I cicli si aprono e si chiudono, incidono tanti fattori. Nella mia testa il pensiero c'era ma avevo voglia di lavorare anche fuori dal contesto Lazio. La Lazio è una società che lascia lavorare. Lotito è un presidente che lavora in questa maniera. Nei momenti di difficoltà si avvicina molto”.

Si è mai sentito tradito da Inzaghi quando lui ha scelto l'Inter?

“Tradito è una parola grossa. In realtà ero felice perché sarebbe stato il coronamento della sua carriera. Veniva da un ciclo di 5 anni, sarebbe stato difficile proseguire insieme. Fosse rimasto avremmo dovuto cambiare tanti giocatori. Era indeciso ma lui è la persona che è rimasta per più tempo nella storia della Lazio. Non penso che il suo legame cambierà mai nei confronti della Lazio”. 

E da De Vrij?

“Non da lui ma dai suoi agenti. Serviva chiarezza, bastava solo quello. Se fu giusto schierarlo in quel Lazio-Inter? Per me sì, perché è un professionista esemplare. Ha dato tanto alla Lazio ed è cresciuto tanto, raggiungere la Champions con la Lazo sarebbe stato il coronamento più giusto. È stato sfortunato sul rigore di Icardi ma secondo me accusava la pressione perché qualche giorno prima era uscita la notizia”. 

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