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Eriksson: “Meritavamo un altro scudetto, vi dico come gestivo quella Lazio. Domenica…”

Sven-Goran Eriksson
L'ex allenatore biancoceleste ripercorre il periodo vissuto a Roma, dove è atteso domenica prossima per l'ultima partita contro il Sassuolo
Edoardo Pettinelli Redattore 

È atteso a Roma domenica allo stadio Olimpico per la gara tra Lazio e Sassuolo, ma Sven-Goran Eriksson ancora non scioglie ogni dubbio. L’ex tecnico biancoceleste è intervenuto ai microfoni di TvPlay, queste le sue parole. “A Roma domenica? Penso di sì, che ci sarò, ma non ho deciso al 100% ancora. Quasi sicuramente sarà così, credo che sarà anche una grande partita. Quando ero alla Lazio mi svegliavo felice ogni mattina, ero contento di andare al lavoro. Quella non era una squadra forte, ma fortissima. C'erano tutti campioni, tutti giocavano con la nazionale. Abbiamo vinto in un modo speciale, per qualche anno siamo stati tra i migliori club in Europa. Si poteva vincere uno scudetto in più, quello perso l'anno prima col Milan. Dovevamo vincerlo, però abbiamo ottenuto tanti altri successi.

Inzaghi sta facendo un gran lavoro con l'Inter. È un tecnico giovane ha davanti ancora tanti anni. Ogni allenatore ha le sue qualità. Qualcuno è più bravo tatticamente, altri nel dare forza ai propri calciatori. Io ero bravo a creare un gruppo forte, in cui i calciatori volevano vincere insieme. Non è facile gestire i giocatori, ma l'importante è parlare la loro lingua, farsi accettare e capire. Ognuno ha un temperamento diverso, in quella Lazio ogni singolo calciatore voleva vincere. Si lavorava bene, era un gruppo forte, non avevo problemi a gestire la rosa. Avessero voluto, avrebbero potuto fare un grande casino. Ma non lo faceva nessuno perché tutti volevano la stessa cosa: vincere. E quindi accettavano di essere in panchina, di essere sostituiti, sapevano di non poter giocare tutti contemporaneamente. Le cose andavano bene anche per questo.

Quando ero ct dell'Inghilterra ogni tanto pensavo: 'Ho fatto bene o male a lasciare la Lazio?' Ma l'Inghilterra era una nazionale di gran prestigio. Il lavoro da ct è differente, in Nazionale c’è poco tempo, nel club sei ogni giorno coi calciatori. Ho visto la Lazio ieri, quando guardo le partite penso ancora come un allenatore, mi piace osservare i sistemi di gioco. La malattia? Avevo cominciato un nuovo lavoro in Svezia come ds, dopo una settimana c'è stata la diagnosi, dovevo smettere di lavorare per curarmi. Hanno cominciato a circolare speculazioni sul mio conto, sul perché avessi smesso. Così ho fatto un'intervista in radio e ho detto della mia malattia, un tumore che non si può curare. È stato meglio così, ho interrotto ogni possibile domanda. Pazienza. Voglio vivere ancora tanto tempo, ci proverò, vediamo. Sto abbastanza bene…”.