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Martini: “Vi racconto la mia Lazio. Chinaglia voleva vincere per forza”

Luigi Martini
Intervenuto ai microfoni ufficiali della società Luigi Martini, campione d'Italia nel 1974, ha ripercorso i momenti della cavalcata vincente

Intervenuto ai microfoni ufficiali della società Luigi Martini, campione d'Italia con la Lazio di Tommaso Maestrelli, ha ripercorso la grande cavalcata della stagione del 1974.

"La Lazio di uomini leader e liberi, con un grande uomo che ci ha lasciato libertà in tutto. Non solo psicologicamente, ma di esprimerci sul campo come volevamo. Grazie all’intuito di Maestrelli, capì che il gioco che avevamo in testa potevamo farlo. Non ebbe paura, assecondò questo nostro modo di vedere il calcio e fu la nostra fortuna”.

“Di solito l’allenatore ha in testa un suo schema e i giocatori vengono limitati, Maestrelli capì che era la chiave per vincere. I rischi che il gioco ci esponesse a grossi pericoli c’erano, ovviamente. Quando abbiamo avuto la consapevolezza di poter vincere il campionato? Per quanto mi riguarda, partiamo dal punto che eravamo tutti forti a livello di personalità e più di tutti Chinaglia che voleva sempre attaccare. Era un grosso trascinatore, quando abbiamo capito che Maestrelli lo lasciava fare noi gli siamo andati dietro.

Poi quando abbiamo battuto la Juve in casa, li abbiamo preso consapevolezza che ce la potevamo fare e così è stato. Vincere contro la Juve, un’ottima squadra, attaccandoli e mettendoli in un angolo è stata un’iniezione di fiducia senza limiti. Li anche Maestrelli ha cambiato il modo di interagire con noi, dalla cautela ha iniziato a dirci che eravamo a un passo”.

“Verona? Dicono che Maestrelli ci ha rimandato in campo perché altrimenti avremmo litigato, non era così. Siamo andati sotto perché avevamo sottovalutato l’avversario, lui l’ha capito e ci ha rimandato in campo subito per una presa visione di uno stadio pieno che ci incitava e non potevamo deludere. La sua mossa è stata molto più raffinata. La gente ha capito, ci siamo schierati ognuno al proprio posto e è iniziato un incitamento monocorde. A quel punto la partita era vinta”.

“Tifosi? Chinaglia aveva un rapporto speciale con loro, si sono immedesimati in quella squadra come mai grazie a lui. Qualunque cosa facesse, era per loro. Diceva sempre che non potevamo deluderli. Ce l’ha trasmessa e poi siamo diventati undici in quel modo, volevamo vincere in uno stadio pieno. Sapere che puoi emozionarli è una sensazione che non ti lascia più, ancora oggi quando vedo lo stadio con le bandiere che sventolano mi emoziono. Essere ringraziato ora è ancor più bello di quando abbiamo vinto lo scudetto. Tutte le manifestazioni di affetto emotivamente ancora vive sono la cosa più bella in assoluto che non cambierei con nessun’altra".

In allenamento Se non vinceva la Lazio di Chinaglia non finiva. Alcune volte è durato fino a notte inoltrata con i fari delle macchine che facevano luce, voleva vincere per forza e noi non volevamo perdere. Ce le siamo proprio date in allenamento, qualche volta ci siamo anche fatti male ma non l’abbiamo detto.

Era la benzina che alimentava il nostro motore. Capivamo che quelle cose che facevamo sono diventate leggenda perché abbiamo vinto, se avessimo perso saremmo stati additati come stupidoni di paese. La mezz'ora con il Foggia è stata lunghissima, mi ero rotto la clavicola ed ero da solo nello spogliatoio. Avevo imparato a decifrare i rumori degli spalti, la gioia dopo è stata ancora più lunga. C’era quasi tutta Roma per le strade". 

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